Se gli ultimi due anni scolastici sono iniziati in salita, nemmeno quello che partirà il primo settembre sarà una passeggiata. Sulla carta è l’anno buono per il ritorno alla (non rimpianta) normalità. Ma il «vademecum» inviato domenica alle scuole dal ministero dell’istruzione apre più di un interrogativo.

IL TESTO ARCHIVIA le regole che avevano scandito gli ultimi anni scolastici: addio alle mascherine in classe (se non per proteggere i fragili), al distanziamento, al controllo della temperatura e alle quarantene. Il Covid diventerà una delle tante malattie che tengono a casa gli alunni, con la differenza che per tornare in classe sarà richiesto un test negativo. Sarà ammesso in classe anche chi si presenta a scuola con il raffreddore, se i sintomi saranno «di lieve entità», ma dovrà indossare una mascherina. Le linee guida tradiscono un certo ottimismo, ma andranno verificate alla prova di eventuali varianti virali autunnali. Far circolare il virus tra i banchi comporta un costo inevitabile. Oltre la metà dei 72 decessi per Covid-19 in età scolare dall’inizio della pandemia sono stati registrati nel solo 2022.

LA SCELTA CHE FA più discutere è la rinuncia alla «didattica digitale integrata» per gli alunni positivi a casa, che nell’anno passato potevano seguire la lezione dalla webcam della classe. «La normativa speciale – spiega il ministero – che consentiva tale modalità, cessa i propri effetti con la conclusione dell’anno scolastico 2021/2022». In realtà, come ha fatto notare la responsabile territoriale del Lazio della Associazione Nazionale Presidi Cristina Costarelli, la norma – il comma 4 dell’articolo 9 del dl 24/2022 – è tuttora in vigore, non risultando vincolata allo stato di emergenza. Le famiglie potrebbero tornare a chiederne l’applicazione, in caso di assenze per Covid.

NEMMENO I PRESIDI però vogliono riaprire il dossier e seguiranno il vademecum: «È scritto in modo esplicito – chiarisce Costarelli – i positivi non devono fare la didattica digitale integrata, le scuole dunque non la faranno». Un chiarimento dal ministero a questo punto sarebbe gradito, perché un vademecum non ha valore di legge e le scuole potrebbero essere sommerse dai ricorsi per una svista normativa altrui. Non sarebbe la prima gaffe per il ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi, che si è appena fatto bocciare da parte del Consiglio Superiore dell’Istruzione la riforma della mobilità dei docenti.

Quanto alla prevenzione del contagio, il vademecum affida ai dipartimenti di prevenzione di Asl e Arpa il monitoraggio della qualità dell’aria. Sulla base degli esiti, toccherà alla scuola l’eventuale richiesta di intervento attraverso i sistemi di purificazione. Per il resto, il ministero prescrive il «ricambio frequente d’aria».

Anche in questo ambito le scuole dovranno districarsi tra norme contraddittorie, come rileva la Società Italiana di Medicina Ambientale: «Si chiede ai presidi di intervenire sul risparmio energetico nelle aule – spiega il presidente Alessandro Miani – e contemporaneamente si dice loro di aprire le finestre come unica misura per areare i locali e quindi mitigare il rischio airborne del virus».

C’È CHI PROVA a risolvere entrambi i rebus in un colpo solo. Come il vicepresidente della provincia di Verona (con delega all’istruzione) David Di Michele del centrodestra, che propone la settimana corta per tutte le scuole per risparmiare su riscaldamento e trasporti, con Dad per tutti al sabato. Ma l’idea di far pagare alla scuola anche la crisi energetica, dopo la pandemia, non va lontano. «Una follia» la definisce Alessandro Rapezzi della segreteria nazionale Flc-Cgil. «Discorso chiuso» anche per il sottosegretario all’istruzione Rossano Sasso della Lega: «Andrebbe a penalizzare chi ha sofferto di più in pandemia, bambini e ragazzi». Scontata l’opposizione da sinistra. «Qualcuno pensa alla riduzione del tempo scuola – segnala Nicola Fratoianni di Si – e nel frattempo, Enel, Eni e le altre compagnie energetiche grandi e piccole accumulano 50 miliardi di extraprofitti e nessuno gliene chiede conto».