Si sa che Voltaire collaborò da principio all’Encyclopédie ma che poi allentò la sua partecipazione, sicuramente stanco delle persecuzioni poliziesche che indussero pure D’Alembert, direttore insieme a Diderot dell’impresa, a gettare la spugna, ma anche per il suo scetticismo sull’efficacia delle grandi e dotte compilazioni: «Venti volumi in folio non faranno mai la rivoluzione – ebbe a scrivere –. Sono i volumetti tascabili da trenta soldi a doversi temere. Se il vangelo fosse costato dodicimila sesterzi, la religione cristiana non si sarebbe mai affermata».

E in coerenza con tali idee si dedicò alla stesura di scritti per così dire di battaglia (alcuni dei quali autentici capolavori), come molti dei racconti, numerosi pamphlet veri e propri e il celebre Dizionario filosofico. È pensando a questo aspetto dello stile e della produzione di Voltaire che Domenico Felice si è misurato con un’impresa possibile solo a qualcuno che, come lui, la conosce a fondo: estrapolare da un’opera vastissima e multiforme (che comprende poemi, opere teatrali, trattati e altro) un’antologia di sentenze, massime e pensieri indirizzati all’uomo di oggi; non pillole, ma semi di saggezza, perché destinati a germogliare nella mente del lettore, suscitando la voglia e il piacere di esercitare la propria intelligenza (quel sapere aude che Kant prese a prestito da Orazio per designare il senso dell’illuminismo e che Voltaire ha anticipato con il suo «Abbiate il coraggio di pensare da soli»). Ne è nato un nutrito Taccuino di pensieri Vademecum per l’uomo del terzo millennio (pp. 533, Mimesis, € 28,00) che raccoglie più di duemila aforismi, talora brevissimi talora più lunghi, organizzati per temi (circa 500) disposti alfabeticamente, secondo il modello del Dizionario filosofico e dunque anche secondo il modo di lettura preconizzato da Voltaire: si può aprire il libro a caso e, seguendo le suggestioni del primo pensiero letto o gli espliciti rinvii finali ad altre voci, si segue un percorso, uno dei tanti possibili, che ci fa passeggiare, per così dire, tra temi e problemi cari all’autore di Candido, ma che non hanno certo perduto di attualità.

Se famosissima, ma purtroppo sempre terribilmente all’ordine del giorno, è la costellazione di pensieri che gravitano intorno all’idea di tolleranza, i lettori non specialisti saranno forse sorpresi di scoprire che quest’uomo, che detestava cordialmente i preti, soprattutto cristiani («fanatici papisti e fanatici calvinisti, scrisse una volta a D’Alembert, sono tutti impastati della stessa merda intrisa di sangue corrotto»), dai quali preti perciò è stato spesso denunciato come una specie di tizzone d’inferno, in realtà riteneva la religione necessaria all’ordine sociale ed era ostile agli atei, benché pensasse che, in generale, se un sovrano ateo sarebbe un flagello per l’umanità, un filosofo ateo (com’erano Hobbes e, secondo lui, anche Spinoza) è sostanzialmente innocuo, e comunque assai meno pericoloso di un credente fanatico: quel che odiava Voltaire era il fanatismo di qualunque orientamento, soprattutto quando è associato al potere.

Ma potranno anche scoprire che il buon senso e la moderazione a cui Voltaire s’appella contro ogni estremismo (come si dice oggi), talvolta finisce per indurlo a posizioni davvero discutibili: denuncia, per esempio, come una infamia il crudele trattamento degli schiavi neri, ma considera un’ovvietà che essi siano una razza non solo diversa ma intellettualmente inferiore alle altre, e che proprio per questo ne è naturalmente schiava. Insomma, non sarebbe dispiaciuto a Voltaire (che del resto lo ha detto esplicitamente) se questo libro, che non osa sfidare la concorrenza del Dizionario filosofico, possa stimolare la critica anche nei suoi stessi confronti; ed è sperabile che comunque induca il lettore ad approfondire la conoscenza di quello che resta uno dei grandi illuministi.