Quasi 10 miliardi di euro: è quanto UniCredit e Intesa Sanpaolo hanno investito nelle compagnie fossili italiane dalla firma dell’Accordo di Parigi ad oggi. A riverlarlo è la nuova pubblicazione di Re:Common e Greenpeace, Cambiamento Climatico S.p.A., che mette in luce il legame strettissimo tra banche e aziende fossili italiane.

Mentre a parole UniCredit e Intesa si dipingano continuamente come attente alla sostenibilità, nei fatti i due istituti continuano a finanziare senza sosta l’industria fossile, contribuendo così ad all’aggravarsi della crisi climatica in corso.

Non sorprende che a beneficiare della somma più elevata di denaro sia Eni, a cui sono andati 3,6 miliardi di euro dal 2016 ad oggi. Al secondo posto si colloca Enel con 3,3 miliardi di euro, di cui il 60 percento ricevuti da Unicredit. A seguire, con 1,7 miliardi, troviamo Snam, la maggiore compagnia di distrubuzione di gas in Europa, e subito dopo Saipem, la controllata di Eni specializzata in progetti infrastrutturali per l’industria petrolifera, che da UniCredit e Intesa ha ricevuto 1,1 miliardi.

Quello di Snam è però un caso a sé, dato che in aggiunta ai finanziamenti elargiti nei confronti della società, Intesa Sanpaolo è anche tra i principali promotori di uno dei suoi progetti più controversi, il gasdotto Tap. La banca ha finanziato il progetto con 1,2 miliardi di euro, ignorando gli appelli della popolazione di Melendugno, punto d’approdo del gasdotto in Salento, che erano persino andati alla sua Assemblea degli azionisti sperando in un dietrofront, mai arrivato.

Le mani nel gasdotto ce le ha messe anche UniCredit, sebbene non abbia finanziato Tap direttamente. L’istituto guidato da Mustier ha infatti finanziato la società veicolo Southern Gas Corridor, attraverso cui il governo dell’Azerbaigian gestisce i propri interessi nel Corridoio Meridionale del Gas, di cui Tap fa parte.
Negli ultimi anni, anche grazie alla campagna di pressione portata avanti da Re:Common e Greenpeace, la finanza italiana ha iniziato a compiere dei primi passi nella direzione auspicata.

Sia UniCredit che Intesa Sanpolo hanno recentemente adottato delle policy che limitano i loro investimenti nel comparto carbonifero e, nel caso di UniCredit, anche nei settori dei combustibili fossili non convenzionali, come il fracking e le sabbie bituminose.

Ciò dimostra che la pressione di società civile e movimenti per la giustizia climatica sta dando i suoi frutti, ma la strada da percorrere è ancora molta. Per avere un’idea di quanto la finanza impatti sul clima, è sufficiente sapere che in Italia il settore finanziario (banche, assicurazioni e fondi di investimento) rappresenta il terzo fattore di emissioni nel paese, con un peso maggiore persino dell’intero comparto industriale.

Come rivelato nel rapporto Finanza Fossile, le sole UniCredit ed Intesa Sanpaolo nel 2019 hanno causato emissioni di anidride carbonica pari a tre quattro volte quelle prodotte da tutte le centrali a carbone del paese: 73 milioni di tonnellate.

* Re:Common