Un’immagine plastica di cos’è la politica in Sicilia, abbarbicata nei giochetti pre-elettorali col pallottoliere e i sondaggi tra le mani, arriva direttamente dal parlamento più antico d’Europa. Ieri ultimo giorno di lavoro per i deputati regionali, da oggi in vacanza (rientro a settembre). A sorpresa, Ap e un pezzo di Pd , per la felicità del centrodestra, impongono, riuscendoci, di mettere ai voti un disegno di legge che poltriva da mesi nel polveroso ordine del giorno dell’Assemblea siciliana. Giovanni Ardizzone, presidente dell’Assemblea e sodale di Casini-D’Alia, lascia in fretta lo scranno, cedendolo al suo vice, Giuseppe Lupo (Pd). Sfilandosi apparentemente così dal pasticcio: come dire, io non c’ero e se c’ero ero in altre faccende affaccendato. Messo ai voti il ddl passa: d’un colpo ritorna l’elezione diretta nelle ex province – ora «Liberi consorzi» – e nelle tre città metropolitane di Palermo, Catania e Messina dove i sindaci si sono insediati da qualche mese.
Un blitz vero e proprio, in barba alla (fallimentare) legge Delrio che ha cancellato il voto diretto. In Sicilia, invece se il governo non impugnerà la legge, si tornerà a votare in primavera nella tornata per le amministrative, unica regione in Italia, per la scelta di presidenti, sindaci e consiglieri. L’obiettivo centrato dalla fronda bipartisan – col voto contrario del governatore Rosario Crocetta e del M5s – era quello rimettere in sesto poltrone da assegnare per rassicurare le truppe assetate di potere. Così è stato. Un blitz che non è piaciuto a Leoluca Orlando, che s’era battuto nei mesi scorsi proprio per fare passare all’Ars l’adeguamento alla Delrio e c’era riuscito tra i maldipancia di molti.

Un problema politico in più per il Pd che ora dovrà dare spiegazioni al sindaco di Palermo con il quale ha congelato il confronto nell’attesa di chiudere l’accordo con Alfano per le regionali di novembre. Già irrigidito da questo flirt, Orlando rischia di ritrovarsi col cerino in mano. La trattativa sul nome del candidato «centrista» a governatore non piace a Mdp e Sinistra italiana, partner di Orlando nella partita. La sinistra rimane ferma sul «modello Palermo»: candidato non legato ai partiti e liste civiche senza simboli.
In realtà un progetto mascherato dietro al quale ci sono le solite facce, persino della prima Repubblica tipo Carlo Vizzini e Totò Cardinale. «Non possiamo in questo contesto non vedere come l’accordo politico tra il Pd e Alfano sostituisca al modello Palermo una alchimia politica siciliana che ripropone ancora una volta il sistema di potere che ha caratterizzato l’esperienza del governo Crocetta» ragionano i leader di Mdp e Si. Schermaglie, per ora. Che non bloccano il dialogo in corso sulla coalizione in Sicilia (anche perché il Pd lavora proprio a un candidato civico), ma minacciano di ripetersi nelle importanti Regioni prossime al voto.

Non è passata inosservata l’offensiva avviata da sinistra anche sulla Lombardia, dov’è in campo per il Pd la candidatura di Giorgio Gori. Sul sindaco di Bergamo, che si è detto pronto alle primarie, Mdp non nasconde le sue perplessità. E dopo l’elogio di Gori all’ex governatore Formigoni, il capogruppo alla camera Francesco Laforgia dichiara che con un «moderatismo senz’anima» che punta ai voti del centrodestra, la sinistra perde. Anche in Lombardia – afferma – la strada del centrosinistra è tutta da costruire». Difficile, per il momento, che a Renzi riesca in Sicilia il progetto del campo largo: una grande ammucchiata con dentro Pd, Ap, centristi per l’Europa, Mdp, Si e liste civiche. I veti incrociati non mancano, mentre il tempo scorre e il M5s corre. Dentro Ap, i malumori sono parecchi. Soprattutto al nord, dove i big, a cominciare da Formigoni, spingono per un’intesa con Forza Italia. Ma anche al Sud le fibrillazioni non mancano.

In Sicilia, il gran de bis sponsor della rimpatriata con il centrodestra è Ciccio Cascio, che alle comunali di Palermo, disobbedendo agli ordini di Alfano, ha appoggiato Fabrizio Ferrandelli allineandosi alla scelta di Forza Italia. Cascio è tra i più attivi sostenitori dell’accordo con Fi, dove monta il malessere nei confronti del commissario Gianfranco Miccichè.Tra i dissidenti c’è l’emergente Vincenzo Figuccia, cui è toccato il compito di bacchettare il «capo» per il rinvio del vertice azzurro che era stato fissato per oggi. «Avevamo chiesto a Miccichè un incontro col gruppo parlamentare di Forza Italia all’Assemblea siciliana, evidentemente non è in grado di reggere il confronto e preferisce parlare nei salotti con Alfano», attacca. «La verità – ammette – è che c’è una lotta interna tra chi vuole far rinascere il centrodestra in Sicilia e chi vuole rimanere morbosamente attaccato al potere». E avverte i suoi: «Non è più tempo di burattini da gestire a proprio piacimento. Noi non seguiremo Miccichè in questo percorso». Un endorsement per Nello Musumeci, gradito a un pezzo di Fi che lo ritiene il candidato ideale per sconfiggere il Movimento 5 Stelle.