Fino all’irrompere sulla scena mondiale dei movimenti no-global, la deriva formalista della decostruzione nordamericana (e poi di riflesso anche europea) aveva prodotto una critica letteraria che usava il tema del gioco metaletterario come uno sfollagente. Il classico caso del testo nel testo, o della storia nella storia, venivano adoperati per bandire qualsiasi tentativo di esplicitazione di istanze storico-sociali. La mise en abîme, lo sprofondamento dei rimandi testuali, diventava un gioco di specchi senza profondità che isolava ermeticamente il testo letterario dal mondo.

La scommessa di Attraverso i confini Lettura, storia ed esperienza estetica in Stendhal e Flaubert, Mimesis, pp. 111, euro 12,00) di Pier Paolo Ascari è rendere giustizia, invece, alla materialità della dimensione auto-riflessiva del testo narrativo. Una produttività estetica che investe proprio le realtà storico-sociali e il nesso tra scrittore ed esperienza di vita. Attraverso una prosa ariosa ed elegante, Ascari va al cuore del problema sviluppando un’analisi della funzione del libro in due grandi romanzieri come Stendhal e Flaubert.
Nella prima parte, dedicata a Stendhal, Ascari esamina un’opera di formazione come il Journal per arrivare poi a romanzi classici come Il rosso e il nero e La certosa di Parma. E ricostruisce, dunque, il conflitto perenne dell’autore contro la logica «pattizia e assicurativa» del riflusso post-rivoluzionario che sfocia nella «scoperta della sostanza narrativa e impura di ogni esperienza». Ascari rintraccia anche i limiti di tale soluzione: l’ossessione per la tenzone amorosa che riduce la donna al ruolo di una continua conquista, e fornisce quindi il carburante per il continuo conflitto esistenziale stendhaliano.

Nella parte dedicata a Flaubert, Ascari prende in considerazione, tra le altre opere, Madame Bovary, L’educazione sentimentale e La tentazione di Sant’Antonio. Le caratteristiche salienti della poetica flaubertiana, la purezza dello stile, la forza ontologica della scrittura che supera l’investimento soggettivo dell’autore, vengono riportati all’inquietante realtà dell’altro grande evento storico del tempo: la comune parigina del 1871.

L’antipatia dell’autore francese per la comune è cosa risaputa, ma come segnala Ascari, la forma politica dell’estetica di Flaubert produce una demistificazione dell’universo borghese che presagisce proprio il trauma della lotta di classe. Il testo letterario non è mai a tenuta stagna. Anzi, la forza ontologica della scrittura stessa pare trovare un correlato (mai tematizzato, certo) nell’altra insopprimibile forza (altrettanto impersonale) della lotta di classe. E così come sotto il più formalista dei testi si agita sempre lo spettro della realtà, alla fine del secolo scorso nei campus americani, a margine dell’ennesimo seminario sull’autotelismo della poesia, si alzava una mano dal fondo della classe o si udiva un rumore fuori della finestra: era il clamore del popolo di Seattle.