Il pubblico non è la componente passiva di uno spettacolo. Costituisce una sua parte essenziale. Fin dall’epoca dell’antico teatro greco. La scena, il palcoscenico, la spazio dell’orchestra (il coro) nel teatro antico, sono parti comunicanti di una stessa struttura. Ma così anche nel teatro moderno, che sia il teatro del modello italiano con la platea e gli ordini dei palchi, sia quello europeo con platea e balconate, e tutte le altre forme di teatro, anche quelle reinventate in fabbriche, cave, garage (off off off Broadway, io ci vidi un esaltante Aspettando Godot) e qualunque altro luogo scelto per una rappresentazione. Anni fa Luciano Berio scelse lo spiazzo davanti la basilica di San Francesco ad Assisi per un concerto che celebrava la pace. Gli strumenti stavano una parte sulla spiazzo un’altra parte giù nella valle, e si rispondevano. Il pubblico tutto intorno, sopra e sotto. Tutto è teatro, direbbe Shakespeare, ma lo dicevano già gli antichi. Inoltre, tra il pubblico e gli attori, i musicisti si crea un rapporto intenso, ininterrotto, di comunicazione. Lo si avverte in qualsiasi spettacolo se si fa parte del pubblico, chi abbia provato l’esperienza della scena sa quanto si senta davanti, intorno, sopra, sotto la presenza e la partecipazione del pubblico.

QUESTA PANDEMIA ha oggi mutilato il teatro. Sia quello dove gli attori parlano, o cantano, sia quello dove a recitare sono gli strumenti, perché anche un concerto è teatro. Nei conservatori francesi agli allievi che devono diplomarsi nell’ultimo anno un attore insegna come entrare e stare in scena, come salutare, come uscire. John Cage ha composto un brano per pianoforte che s’intitola 4’ 33”. Il pianista esegue tre movimenti di un pezzo in cui non fa niente per quattro minuti e 33 secondi. La musica sono i suoni della sala, del pubblico che si spazientisce. Cage dimostra così che anche il concerto è teatro.

Il distanziamento tra gli spettatori era tuttavia riuscito a creare nei teatri e nelle sale da concerto un luogo sicuro, in cui sarebbe stato difficile il contagio. Difficile, ma non impossibile. In ogni caso è ciò che accade nel percorso da casa al teatro, nella sosta del pubblico davanti al teatro che il rischio aumenta. Si è deciso perciò d’interdire i teatri all’ingresso di un pubblico. Lo spettatore ha certo sofferto di questa privazione. Ma non riesce forse a immaginare la solitudine, lo sconforto di chi il teatro lo fa, il concerto lo suona. Magari riesce a capire il suo disagio, l’improvvisa mancanza di un sostegno finanziario per la propria vita. Che è già un motivo di disperazione. In più ci si aggiunge la desolazione di non recitare, di non suonare.

La Rai, attraverso il canale Rai5 ha pensato di colmare questa lacuna, questa distanza. E allora ecco che i concerti, gli spettacoli si fanno lo stesso, ma senza pubblico, si registrano, e si mandano in onda, alla radio, su Radio3, e alla televisione, su Rai5. Giovedì prossimo Antonio Pappano dirigerà (in realtà ha già diretto) l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, e ci sarà la partecipazione della pianista Beatrice Rana che interpreterà il Concerto in la minore di Schumann, forse il modello più perfetto e intenso di concerto romantico. Precedono la musica di Schumann la 35a Sinfonia, Haffner, di Mozart e la Sinfonia da camera op. 9 di Schoenberg.
Domenica prossima si ascolterà – e si vedrà – Tre Quadri, un concerto per pianoforte e orchestra di Francesco Filidei, in prima esecuzione assoluta. Al pianoforte Maurizio Baglini, Tito Ceccherini dirige l’orchestra della Rai, a Torino. Seguono Zubin Mehta, Daniel Harding. Daniele Gatti ha diretto domenica scorsa.

E IL 7 DICEMBRE saremo alla Scala con Riccardo Chailly. Una scappatoia? Può darsi. Ma forse bisognerebbe riflettere sul fatto che, appunto, oggi anche la tv è teatro. Perfino di un pubblico più vasto. E – particolare non secondario – la trasmissione degli spettacoli renderà meno precari attori, musicisti, lavoratori dello spettacolo. Ci si augura, infatti, che si faccia qualcosa di analogo anche per il teatro.