«Facile parlare adesso, ma perché Matteo non lo ha fatto prima?» chiede Pierluigi Bersani intervenendo ieri mattina alla radio. Passano poche ore e praticamente lo stesso concetto lo esprime anche Massimo D’Alema: «Il caso Cancellieri è chiuso, se Renzi voleva incidere doveva dirlo prima del voto parlamentare». La battaglia congressuale dei democratici passa anche da qui, dai rapporti tra il ministro della Giustizia e la famiglia Ligresti.
Dire infatti che le affermazioni fatte dal sindaco di Firenze mercoledì a Servizio pubblico non sono piaciute al Nazareno è dir poco. L’accusa, non esplicitata, è che sia facile raccogliere consensi tra i militanti su una vicenda come quella che ha coinvolto la titolare della Giustizia, soprattutto se le critiche arrivano quando, come sottolineano tutti, il caso è ormai chiuso. «Davanti a scelte di questo genere bisogna prendersi anche le responsabilità. E io me la sarei presa. Nonostante, intendiamo, la stessa Cancellieri abbia riconosciuto ci stata un’inappropriatezza in quella vicenda», ha voluto chiarire Bersani.
In realtà più che il giudizio duro sul ministro della Giustizia, a irritare il Pd sono state soprattutto le parole che Renzi ha voluto indirizzare a partito e governo. Quelle critiche rivolte a Epifani («se fossi stato il segretario del Pd non mi sarei comportato così») ma anche e forse soprattutto a Letta, accusato di non aver chiesto alla Cancellieri di fare un passo indietro. E che suonano tanto come un avvertimento all’esecutivo. Come a dire: scavallato l’8 dicembre, quando quasi sicuramente a guidare il partito ci sarà Renzi, non si faranno più sconti a nessuno.
Giusto per non abbassare la tensione ieri il sindaco è tornato a ribadire su facebook quanto detto nella trasmissione di Santoro. «Il ministro Cancellieri avrebbe fatto un favore al paese se si fosse dimessa», ha scritto. «Il tema delle condizioni nelle carceri va affrontato per tutti, non per qualcuno. Passando dalla porta giusta. La politica carceraria non si fa liberando le persone per un anno con uno spot demagogico, ma avendo il coraggio di dire cosa non va su custodia cautelare, Bossi-Fini e Fini-Giovanardi».
I giudizi di Renzi, però rischiano di essere stati a dir poco intempestivi, al punto che ora c’è il rischio che si trasformino in un boomerang. Sebbene chiuso, sul caso Cancellieri pende infatti ancora la mozione di sfiducia presentata dal M5S, e sulla quale sia Camera che Senato dovranno esprimersi. A Montecitorio, dove la mozione arriverà prima dal momento che il Senato è impegnato con la legge di stabilità, non sono previste sorprese. Stessa cosa al Senato, dove però il Pd rischia di implodere a pochi giorni dal congresso. I senatori di fede renziana sono almeno una quarantina, come si comporteranno ora che il capo ha scaricato il ministro? Voteranno contro la sfiducia, come già annunciato dal capogruppo Luigi Zanda o – a questo punto coerentemente – sceglieranno di aggiungersi a quanti, come il senatore Felice Casson e un numero ancora non definito di senatori di Sel (l’unico che si è già pronunciato pubblicamente finora è il solo Claudio Fava), voteranno la mozione dei grillini? Un simile scenario, se dovesse accadere, sarebbe un vero terremoto per il partito. «Nel gruppo del Pd si decide insieme, per gestire anche opinioni diverse», ha già messo le mani avanti Renzi, sempre nella trasmissione di Santoro. «Un voto diverso da quello deciso dal partito non accadrà mai», conferma un renziano doc, che preferisce però evitare di essere citato. Senza per questo rinunciare alla polemica: «Abbiamo lasciato correre sulla vicenda Alfano-Shalabayeva, figuriamo se adesso facciamo i fenomeni con la Cancellieri».
Intanto ieri sera sono arrivati i dati sul voto espresso nei primi sette circoli in cui i tesserati hanno votato per il segretario. Matteo Renzi è in testa con il 49% dei voti, seguito da Gianni Cuperlo con il 27%, Pippo Civati con il 23% e Gianni Pittella con l’1%.