Come ogni anno, il Macerata Opera Festival cambia colore: dal verde speranza del 2018, omaggio alla levità sorridente della giovinezza e delle sue metamorfosi, passa al rosso desiderio, esplorazione degli abissi tragici del potere, del possesso e della gelosia. Le opere proposte sono tre: due riproposizioni di allestimenti precedenti, Macbeth e Rigoletto di Giuseppe Verdi, e una nuova produzione, Carmen di Georges Bizet. Tre riletture originali che tentano di avvicinare l’opera allo spettatore, sacrificando il colore locale e temporale caro al repertorio ottocentesco.

COSÌ IL MEDIOEVO scozzese di Macbeth, nella già premiata coproduzione con il Massimo di Palermo e il Regio di Torino, che vede alla regia Emma Dante, alle scene Carmine Maringola e ai costumi Vanessa Sannino, viene ridotto a due colori astratti e segnaletici: l’oro delle inferriate, degli scranni e della corona, e il rosso delle vesti ufficiali del banchetto, contrassegni archetipi rispettivamente del potere bramato e della brama stessa che divora i protagonisti. Francesco Ivan Ciampa dirige l’Orchestra Filarmonica Marchigiana con finezza e precisione, un po’ a discapito del volume, pur necessario in uno spazio che divora il suono come lo Sferisterio. Nervoso il Macbeth di Roberto Frontali, statuario il Banco di Alex Esposito, accorato il Macduff di Giovanni Sala; Saioa Hernandez, la cui voce è benedetta da volume e timbro rari, debutta nel ruolo di Lady Macbeth spavalda in tutto tranne che nei trilli del brindisi.

Così il Rinascimento padano di Rigoletto, nella produzione maceratese del 2015, che vede alla regia Federico Grazzini, alle scene Andrea Belli e ai costumi Valeria Donata Bettella, viene convogliato nell’atmosfera equivoca e allo stesso tempo malinconica di un Luna Park. Qui rossa è la vestaglia del Duca che Gilda indossa dopo avere perso (forse consenziente) la verginità, il bene del quale Rigoletto ha tentato strenuamente di mantenere il possesso e che il suo giovin signore gli ha sottratto senza alcuna fatica. Giampaolo Bisanti dirige magnificamente, facendo risaltare le preziosità armoniche della partitura verdiana, in particolare nei parlanti. Amartuvshin Enkhbat dà vita a un Rigoletto combattuto, prestandogli una voce corposa e ben timbrata; Claudia Pavone è una Gilda soave; Enea Scala disegna un Duca sensuale e giustamente leggero.

COSÌ LE ATMOSFERE proletarie e torride dell’Ottocento spagnolo di Carmen vengono raffreddate in quelle scintillanti e ciniche del Novecento parigino nella nuova produzione che vede alla regia Jacopo Spirei, alle scene e ai costumi Mauro Tinti, alle coreografie Johnny Autin. Siamo in un cabaret parigino, il cui ingresso è sovrastato dalla riproduzione di un’enorme parrucca rossa, che iconizza la dimensione ambigua di un eros esibito, mercenario e minato da una gelosia immotivata quanto i capricci che la innescano. Francesco Lanzillotta dirige come sempre con grande attenzione ai dettagli, restituendo il carattere cangiante e raffinato delle musiche di Bizet.

Irene Roberts stupisce dando vita a una Carmen a tutto tondo, convincente vocalmente, sia pure in una versione leggera, e stupefacente scenicamente, imponendosi per bellezza e capacità attoriali; Valentina Mastrangelo le contrappone una Micaëla francamente lirica; scarsi di volume e timbro il Don Josè di Matthew Ryan Vickers e l’Escamillo di David Bizic.