Da «triplice o quadruplice provinciale», formatosi nella Sardegna dell’inizio del Novecento, Antonio Gramsci arriva col tempo a percepire sé stesso come un intellettuale europeo. Viaggia in Russia e in Austria, vive fino in fondo la dimensione internazionalista del comunismo, pur rimarcando la necessità di un’azione politica sempre radicata su basi nazionali, legge e conosce le opere di molti importanti pensatori e scrittori europei, si cimenta in carcere nella traduzione delle lingue europee. L’Europa di Gramsci. Filosofia, letteratura e traducibilità, a cura di Lelio La Porta e Francesco Marola, con una prefazione di Guido Liguori, nato sotto gli auspici di Transform! Europe (Bordeaux, pp. 272, euro 18) riavvia in una nuova veste la storica collana di studi gramsciani della International Gramsci Society Italia fondata da Giorgio Baratta, e propone una raccolta di saggi di autori e autrici di diversa provenienza disciplinare e metodologica, rivolti ad approfondire il rapporto di Gramsci con alcuni momenti della tradizione culturale europea.

FRA LA FINE della Prima guerra mondiale e gli anni Trenta, Gramsci vede da vicino la crisi del primato culturale europeo, ma al tempo stesso riconosce all’Europa un ruolo fondamentale nell’elaborazione dell’identità occidentale (e della cultura mondiale) e intravede e auspica persino la necessità di un processo che superi i nazionalismi in direzione di una forma di unione europea.
Proprio in questo senso, ribadire la centralità dell’influenza di alcuni importanti punti di riferimento culturali nella formazione di Antonio Gramsci e nell’elaborazione del suo peculiare marxismo maturo, come questo libro fa, è non solo utile a precisare aspetti decisivi della prospettiva e della visione del mondo gramsciana, ma mette a fuoco una volta di più la relazione profonda e duratura, fondativa, fra le diverse culture europee tra Otto e Novecento, intese alla luce del basilare concetto gramsciano di traducibilità, secondo il quale gli elementi peculiari dell’economia classica inglese, della filosofia idealistica tedesca e del pensiero politico francese sarebbero linguaggi differenti e complementari di un corpus storico e teorico comune, e comunque percorsi contigui da leggere in parallelo.

A QUESTO TEMA, affrontato da Derek Boothman, si affiancano i contributi di Fortunato Cacciatore su Hegel, di Gianni Fresu su Lenin e di Pietro Maltese su Marx, che, pur nella difficoltà di confrontarsi in brevi saggi con questioni largamente dibattute nel corso dei decenni, individuano angolazioni opportune per rintracciare i punti di continuità di Gramsci rispetto a questi autori ma anche i termini della originale «traduzione» gramsciana del loro pensiero nella costruzione della filosofia della praxis, con particolare riferimento alle questioni dello stato, dell’educazione e dell’egemonia. Giuseppe Guida e Mimmo Cangiano si confrontano con l’ambiente dell’irrazionalismo primonovecentesco e con le correnti più libertarie, da Bergson a Sorel, fino alle riviste italiane, La Voce prima di tutte, e il clima del pragmatismo. Imprescindibile il continuo richiamo a Benedetto Croce che, pur non essendo oggetto di saggi specifici, è presente largamente nel volume.

ALLA LETTERATURA il libro dedica ampio spazio, in considerazione degli interessi e della prima formazione gramsciana. Partendo da Goethe, Francesco Marola allarga la sua indagine all’interesse di Gramsci per la cultura tedesca più in generale, e alla pratica della traduzione in carcere, un’attività che occupa quasi un quarto del totale dei Quaderni e che troppo a lungo è stata relegata al rango di semplice esercizio linguistico, fino al recente recupero integrale dei testi nell’ambito dell’Edizione nazionale delle Opere a cura della Fondazione Gramsci.
Di letteratura inglese e francese si occupano rispettivamente Lorenzo Mari, con un focus su Kipling e ancora sulla traduzione, e Paolo Desogus, che si concentra sulla letteratura popolare e d’appendice in un continuo andirivieni di riferimenti a letterature diverse, e passando il testimone a Marco Gatto e al suo Dostoevskij nei Quaderni: un saggio che insieme al contributo di Noemi Ghetti sul Proletkult torinese e ai molti richiami in diversi altri saggi, mette in luce l’importanza della cultura russa e la sua impronta su tutta la cultura europea.

«A CASA DI BAMBOLA» è dedicato il contributo di Lavinia Mannelli, mentre a chiudere il volume è Lelio La Porta con Lukács, un autore citato da Gramsci una sola volta ma poi avvicinato al pensatore sardo negli anni del dopoguerra dalla «battaglia per il realismo». Il volume, come sottolinea Liguori nella sua introduzione, non è solo un libro su Gramsci ma anche un invito al dialogo fra le culture di cui c’è estremo bisogno.