Si torna a Genova, a 14 anni dal G8, e si pensa alla Grecia, luogo simbolo del collasso di un sistema che aggredisce con ferocia chi lo contesta e lo punge nei suoi punti più delicati, il deficit di democrazia e la sottomissione alle priorità della finanza speculativa internazionale.

C’è un filo che lega Genova 2001 con Atene 2015: quanto avvenuto in Grecia è una perfetta rappresentazione dei peggiori scenari analizzati e denunciati dal movimento dei movimenti nei Forum di Porto Alegre e durante le giornate del G8.

Alexis Tsipras e il governo di Syriza stanno sperimentando sulla propria pelle, non soltanto la prepotenza del governo Merkel e la miopia della Commissione europea, quanto il dominio della finanza speculativa, che non risponde delle proprie azioni ad alcuno stato e, anzi, sottomette ai propri interessi i governi nazionali, spesso costruiti a propria immagine e somiglianza, come abbiamo sperimentato anche in Italia.
Oggi, rispetto al 2001, dobbiamo aggiornare le cifre di questo dominio e dire – con i dati del Credit Suisse – che l’8,7 per cento (non più il 10 per cento) della popolazione mondiale controlla l’82 per cento delle ricchezze del pianeta; e più precisamente che quell’8,7 per cento di popolazione esprime il potere di qualche centinaio di fondi finanziari e di multinazionali che controllano il ciclo vitale dell’umanità.

La storia è piena di ironia e di passaggi emblematici che ci aiutano a comprendere la parabola greca. Alexis Tsipras e i suoi compagni nel 2001 furono fra i primi a sperimentare la durezza della repressione, quando furono fermati e aggrediti brutalmente dalla polizia italiana nel porto di Ancona: era un assaggio di quanto sarebbe avvenuto nei giorni seguenti.

Oggi il governo di Syriza, con la dura sconfitta subita nei giorni scorsi a Bruxelles, paga il proprio isolamento, la debolezza politica di movimenti sociali e politici che in Europa non sono stati in grado di contrastare il pericolo che bene era stato individuato nel 2001 al Forum di Porto Alegre.

Questa sorte tocca proprio a Syriza, un partito-movimento che ha nel proprio genoma, primo in Europa, lo spirito antiliberista e internazionalista tipico dei Social Forum, avendo compreso fin dalla sua nascita che nel XXI secolo ogni prospettiva di giustizia sociale e di libertà deve avere un respiro internazionalista.

Atene ha perso perché si è trovata sola, perciò siamo di fronte ha una sconfitta che colpisce il cuore dell’Europa e ci riguarda tutti. Si è aperta una fase storica drammatica, simile ad altre vissute nel nostro continente nel secolo scorso, paragonabile alla sconfitta subìta nella guerra civile spagnola. Stavolta non siamo stati capaci di organizzare brigate internazionali di sostegno alla Grecia, forse perché non c’era un nemico visibile da combattere né terre da difendere. Ma la posta in gioco è la stessa: la libertà e la democrazia in Europa.

In questi anni abbiamo combattuto in Italia un’altra battaglia, una battaglia di verità e di giustizia, dopo le violazioni dei diritti umani compiute nel 2001. Ne siamo usciti con alcune sconfitte (il mancato processo per l’omicidio di Carlo, le condanne pesantissime inflitte a un pugno di manifestanti, usati come capro espiatorio) e abbiamo ottenuto anche dei successi, con la ricostruzione di verità incontrovertibili su quanto avvenuto alla Diaz e a Bolzaneto e sentenze di condanna, sia pure mitigate dalla prescrizione, che non hanno precedenti nella nostra storia giudiziaria.

Eppure anche su questo fronte è in corso la rivincita di un sistema repressivo sganciato ormai da qualunque controllo democratico e strettamente connesso al potere esecutivo.

La vicenda della legge sulla tortura è emblematica. A fronte della clamorosa sentenza pronunciata contro l’Italia dalla Corte europea per i diritti umani, abbiamo assistito a un ulteriore arretramento della cultura democratica, incapace di condurre una battaglia civile in campo aperto e succube del «partito della polizia», al punto di approvare due diverse ipotesi di legge, una (alla Camera) a dir poco minimalista e scritta in modo da non disturbare forze dell’ordine che si ritengono al di sopra di qualunque dettato legislativo, la seconda (in commissione al Senato all’unanimità!) addirittura paradossale, poiché di fatto legittima la tortura, purché non «reiterata».

È quindi in corso un’offensiva che somma la ferocia del capitale finanziario a norme e prassi da democrazia autoritaria (vedi la legge sulla sicurezza approvata in Spagna), mentre si gioca fra Atene e il resto d’Europa una partita decisiva per il futuro del continente. «Oggi in Spagna, domani in Italia» era il motto di Carlo Rosselli ormai 80 anni fa.

Forse, dovremmo ripensare Genova e guardare ad Atene imparando la lezione di questi anni, sperando di poter dire con serietà, senza velleitarismi, «Oggi in Grecia, domani in Europa».