Breve ma ambizioso, e chiaro nonostante la sua densità, l’ultimo libro di Massimo Recalcati – uno degli psicoanalisti italiani più originali del nostro tempo, che ha avuto la capacità di fare del proprio luogo di osservazione (lo studio, la relazione con i pazienti) non solo un momento di cura ma anche un laboratorio nel quale esplorare le nuove forme che sta assumendo l’esistenza umana – costituisce una specie di precipitato chimico della sua attività. Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre (Feltrinelli, pp. 160, e 14 euro) ha un titolo che potrebbe trarre in inganno: nessun manualetto pedagogico, nessuna semplificazione in stile televisivo.

Il complesso di Telemaco è la metafora con la quale Recalcati descrive le nuove forme nelle quali oggi prende corpo la situazione psichica che fa le veci del freudiano «complesso di Edipo». Se Edipo – narra il mito – uccide il padre per possedere la madre, Telemaco è colui che aspetta un padre che è partito e ancora non ritorna. L’immagine chiave del libro lavora su due piani sovrapposti. Il primo è di tipo clinico-psicologico. Nuove patologie affliggono l’esistenza dei giovani occidentali (disturbi alimentari, forme di dipendenza e tossicomania, depressione, più in generale la fragilità di un’adolescenza che sembra protrarsi all’infinito) secondo una dinamica antropologica diversa da quella fotografata dalla psicoanalisi classica. Oggi il complesso psichico principale non è tanto costituito dal desiderio di uccidere il padre per coltivare un rapporto incestuoso e simbiotico con la madre, quanto dal tramonto della figura del padre.

Da una immagine terribile, il padre-padrone che incarna la legge e picchia senza incertezza, si è passati a un ruolo fumoso ma altrettanto inquietante: il padre-bambino che si mette al livello del figlio e si guarda bene dal rimproverarlo, il padre-adolescente che si sostituisce al figlio trasgredendo al posto suo norme sociali e regole di prudenza. Le nuove generazioni somigliano più a Telemaco che a Edipo perché per loro il padre assume una posizione imprendibile: poiché ancora figlio dei propri genitori, il padre odierno non è figura di riferimento per la prole.
Ben lontano dal rimpiangere i tempi passati, Recalcati ha il merito di provare a tratteggiare una via d’uscita. Nell’Odissea, Telemaco non è solo colui che non ha un padre, ma è anche colui che lo cerca e infine lo ritrova. Telemaco è proposto come una figura di equilibrio psichico: non è il figlio che sfida i genitori in una relazione centrata sul conflitto (il figlio edipico), né il figlio che piega i genitori al proprio capriccio in una continua confusione di ruoli e di sovrapposti rispecchiamenti (il figlio Narciso). Telemaco cerca un confronto con un padre che non c’è e per questo lo aspetta tentando di elaborare il lutto della sua assenza.

L’ipotesi clinica è convincente, argomentata con ricchezza di esempi che prendono in esame tanto singole storie di sofferenza psichica quanto alcuni film (da Palombella Rossa e Habemus Papam di Nanni Moretti a tutta la produzione recente di Clint Eastwood) e romanzi contemporanei (La strada di Cormac McCarthy e Patrimonio di Philip Roth per citarne un paio). Il quadro si complica quando il testo prova il passaggio a un secondo piano argomentativo. Ogni qualvolta la diagnosi clinica prova a farsi lettura filosofica e politica il testo appare infiammato da due forme di combustione. La prima riscalda: è il fascino prodotto da una scrittura incalzante e suggestiva. La seconda ustiona: ogni volta che si analizza il modo nel quale il figlio (per capirci, le nuove generazioni) può oggi produrre azioni innovative, contrastare l’azione di un capitalismo mai tanto brutale, il testo risente di un’altra valenza della figura di Telemaco. Dal punto di vista politico-filosofico, infatti, Telemaco rischia di rimanere schiacciato dall’attesa di un ritorno che non dipende affatto da lui ma sempre e comunque dal padre.
Certo, il testo ribadisce come Telemaco sia anche una figura che agisce perché cerca il genitore scomparso e va a raccoglierne notizie; ma nella esportazione della metafora su un piano più ampio bisogna fare i conti anche con altre sue connotazioni. Perché Telemaco, da solo, questo padre non lo trova, tanto più che il figlio di Odisseo salva la sua stessa vita (come ricorda correttamente Recalcati) solo grazie all’intervento di Atena, cioè a una dea ex machina. Ma fra le abilità proprie dell’Homo sapiens non c’è solo la capacità di staccarsi dal presente, c’è anche quella di confrontarsi con i limiti scabrosi dell’utopia. Se dico «qualcuno un giorno andrà su Nettuno» non ho a che fare né con una frase falsa, né vera. Cosa ancora più interessante, ho a che fare con una frase che non si capisce neanche se si riferisca a qualcosa di possibile o impossibile.

L’utopia non è, come si afferma nel Complesso di Telemaco, «una realtà che non esiste» o «una città ideale impossibile», capace di rimuovere l’esperienza del limite, ma un’azione linguistica che scorre sul crinale incerto di quel che è possibile e di quel che non lo è. Solo l’azione pratica potrà verificarne la realizzabilità, confrontandosi con i limiti della sua capacità di applicazione. Alle orecchie di un faraone egizio la frase «un giorno la schiavitù verrà abolita» doveva sembrare altrettanto pazzesca di quanto oggi può esserlo l’idea di un astronauta che passeggia sul pianeta più lontano del sistema solare. Questa dimensione utopica dell’esistenza umana, del linguaggio verbale e di ogni pratica innovativa, la figura di Telemaco non la incarna, anzi rischia di mortificarla. La relazione tra il complesso di Edipo di Freud e il complesso di Telemaco di Recalcati è simmetrica solo apparentemente.
A differenza di Edipo, la figura di Telemaco non è impiegata solo per descrivere un insieme di contenuti psichici spesso tra loro in conflitto (un «complesso» per appunto) ma anche la via di risoluzione del complesso. Per capire quanto sia importante la differenza basta pensare a cosa ci avrebbe detto Freud se avesse seguito lo stesso procedimento logico. Se lo avesse fatto, avrebbe dovuto dirci che è opportuno prima uccidere il padre, sposare nostra madre e poi, presi dal dolore, dalla vergogna e dalla colpa, cavarci gli occhi. Come la soluzione al complesso di Edipo è non fare come Edipo (né prima quando si sposa la madre e uccide il padre, né dopo quando si cava gli occhi), così la soluzione al complesso di Telemaco forse non è possibile trovarla in un ragazzo che guarda il mare aspettando che il potere generativo gli venga in qualche modo restituito.

Piuttosto, tra le pagine del libro fa capolino un’altra figura la cui analisi teorica potrebbe bilanciare alcuni dei limiti del mito di Telemaco. Come ricorda Recalcati, in un breve saggio Freud insiste sulla capacità di Leonardo da Vinci di non di rifiutare il padre che lo disconosce (o di ucciderlo alla Edipo) ma di rinunciarvi. All’interno di una famiglia complessa e aggrovigliata piena di matrigne, patrigni e fratelli di ogni sorta (in questo un po’ simile a molti dei nuclei familiari odierni) Leonardo individua una via tutta sua. La scrittura mancina alla rovescia ne è l’emblema: l’autore della Gioconda tradisce continuamente una difficoltà di grammatica linguistica, ma è proprio quella difficoltà a costituire la sorgente viva di ogni sorta d’innovazione.