Il fascino di Pinocchio è di essere «una storia che può essere letta in mille modi diversi», dice Matteo Garrone: «Come una grande storia d’amore tra un padre e un figlio, come quella di un bambino che rifugge dall’ordine, debole nei confronti delle tentazioni…». Per raccontarla, spiega ancora il regista che dice di sognare questo progetto da quando aveva sei anni, «sono partito proprio dalle origini». E cioè naturalmente il libro di Carlo Collodi, e «da un punto di vista figurativo è stato fondamentale il lavoro di Enrico Mazzanti, che ha fatto le illustrazioni della prima edizione di Pinocchio lavorando insieme a Collodi. Poi mi sono ispirato alla pittura dei Macchiaioli, alla loro semplicità cromatica, e anche al Pinocchio di Comencini, alla sua rappresentazione della povertà».

INIZIALMENTE, racconta il regista, la sceneggiatura (scritta insieme a Massimo Ceccherini, che nel film interpreta la Volpe) era «molto vicina al testo di Collodi, io mi stavo limitando a fare un lavoro di ’giardinaggio’. Ma confrontandomi con Massimo sul suo personaggio ci siamo resi conto che potevamo restare fedeli al testo pur inserendo delle cose che facessero ridere, facendo delle variazioni, quindi poi abbiamo iniziato a lavorare così anche sugli altri personaggi». Invece con Benigni (Geppetto), «abbiamo fatto un percorso insieme dal primo momento che ci siamo visti, quando gli ho portato una foto di come ce lo immaginavamo: un Geppetto vecchio, segnato dal tempo e la povertà» – come ce lo mostra la serie di gag all’inizio del film per cui, dice Benigni, ha pensato anche a Charlie Chaplin: «È stato un esempio per tutti noi. È lui il più grande Geppetto e Pinocchio di tutti i tempi».

I LUOGHI di Pinocchio – «scelti anch’essi perché facessero pensare ai Macchiaioli», aggiunge Garrone – non sono stati facili da trovare: «Perché sappiamo quanto l’Italia sia stata distrutta dagli anni ’60 a oggi». Ma di quei posti «non è importante conoscere la località quanto le luci, i colori, che fossero in grado di raccontare l’anima dei personaggi». La maggior parte di loro animali – «la sfida è stata capire quanto renderli antropomorfi» – «personaggi che sono allegorie del mondo in cui viviamo». Sia nel libro che nel film con il quale, dice il regista, «vorrei far riscoprire un grande classico che vive nell’immaginario di tutti noi». Per quei bambini, aggiunge Benigni, «che vanno dai 4 agli 80 anni».