Un mondo affascinante e misterioso, fatto su misura per una cerchia di happy fews che tendono a fare gruppo a sé: rituali ben precisi, quelli delle grandi case d’aste internazionali, con appuntamenti mondani, luoghi consueti e apparentemente esclusivi ma, soprattutto, una specie di linguaggio in codice che sulle prime appare enigmatico e incomprensibile, termini desueti o cosmopoliti che solo i più fedeli accoliti comprendono e sanno usare correttamente, e che diventano un ulteriore segno di distinzione.

Per chi volesse saperne qualcosa di più o addirittura ambisse a possedere qualche segreto per poter muovere passi meno incerti in un ambiente che dietro l’angolo sembra sempre poter riservare un inaspettato tranello o trabocchetto, viene in soccorso quello che può ben definirsi un piccolo, elegante e raffinato manuale di buone maniere a uso degli appassionati d’aste e del commercio d’arte in generale.

Quello di Marco Riccòmini, Un breve incanto Dizionario semiserio del mercato dell’arte (La nave di Teseo, pp. 295, € 20,00), è un vademecum, una sorta di vocabolario che ci fa capire e ci racconta l’origine di parole che fino a un momento prima ci apparivano incomprensibili ma sulle quali, da bravi parvenu, non avevamo mai avuto il coraggio di chiedere spiegazioni. O forse meglio ancora è qualcosa tipo i Baedeker di un tempo, senza i quali nessun turista si sarebbe mai avventurato per siti, città sconosciute o mete esotiche del Grand Tour. In questo caso, se un domani doveste organizzare un weekend a Londra in occasione di Frieze, a Maastricht per TEFAF o alla Biennale dell’Antiquariato di Firenze, oppure se verrete invitati a un’inaugurazione di Christie’s (casa per la quale Riccòmini ha lavorato dieci anni come Head of Department degli Old Masters), sarebbe meglio buttarci prima un occhio.

A proposito, non si dice inaugurazione ma vernissage. E se non sapete ancora che cosa vuol dire o che origine abbia questa strana parola, è proprio in questo caso che viene allegramente in soccorso il libro di Riccòmini: «Vernice fa rima con Berenice e pare che da quella prenda il suo nome, ossia dalla Bereníke degli antichi greci, lo scomparso porto cirenaico, prossimo all’odierna Bengasi… ma cosa ha a che fare la vernice con l’arte, a parte il suo ovvio impiego sulle tele? Se ne è perso l’uso, ma da noi la cerimonia d’apertura di una mostra, che i francesi (e gli inglesi prendendolo a prestito) chiamano vernissage, era detta un tempo “vernice”. E lo si diceva perché in passato i pittori avevano l’usanza d’invitare amici, critici e collezionisti, alla verniciatura delle loro opere già appese, ore prima che la mostra aprisse al resto del pubblico», quando per l’appunto l’odore pungente della trementina aleggiava ancora nell’aria.

Vernissage è solo una delle settanta parole o definizioni di cui Riccòmini spiega il significato e racconta le origini, divagando e alleggerendo sempre un po’, come si conviene a un colto e divertito flâneur. Oltre a Vernissage troviamo poi ovviamente finissage, ma anche hammer, lot symbols, stock, tie bid, top lot, saleroom notice, telephone bid, bollino rosso, commission, e non può non saltare all’occhio quadraro, nel qual caso l’autore tiene a specificare che «no, non si parla del quartiere a sud-est di Roma, che da Porta Furba si estende fino a Cinecittà», ma, «in gergo, il quadraro è quel mercante specializzato in dipinti, solitamente antichi (old masters per gli inglesi, ossia gli “antichi maestri”), ma non solo. Gli inglesi lo chiamano il picture dealer (“mercante di dipinti”) e si differenzia dall’antiquario generico (antique dealer) proprio in virtù della sua specializzazione».

Se allora è tutta una questione di parole, di come vanno usate e pronunciate, e nel profondo ognuno sa bene che è proprio così che stanno le cose, Riccòmini ha pensato giustamente di aggiungere al capitoletto relativo a ognuna di esse una vecchia foto in bianco e nero che non sia immediatamente legata alla parola in questione ma la richiami con una certa assonanza, un rimando lontano, un ricordo nascosto o una semplice suggestione.

L’effetto è suggestivo e accresce il piacere di sfogliare le pagine per trovare, per esempio, a obliquo commento della figura dell’art advisor, una fotografia del 1932 di una ragazza dal profilo pensoso e malinconico, una certa sconosciuta «Miss Isabel Gardner», che «sì, d’accordo, non (è) quella Isabella Stewart Gardner»: ma va bene lo stesso, anzi, in fondo, molto meglio così…

E se crediamo invece di conoscere il significato di tutte le parole e le definizioni che sono raccolte nel volume, perché secondo noi chiunque le capirebbe, soffermiamoci per un po’ a leggere l’esergo, una frase di Groucho Marx che più o meno suona così: «Lo capirebbe anche un bambino di cinque anni. Qualcuno vada subito a cercare un bambino di cinque anni»!