Da Berlinguer a Tsipras la versione pop della questione morale
Graphic Novel E' la prima volta che il segretario nazionale del Pci entra nelle pagine di un fumetto con la sua storia narrata da Elettra Stamboulis e disegnata da Gianluca Costantini, per l'albo di Becco Giallo
Graphic Novel E' la prima volta che il segretario nazionale del Pci entra nelle pagine di un fumetto con la sua storia narrata da Elettra Stamboulis e disegnata da Gianluca Costantini, per l'albo di Becco Giallo
Questa storia inizia dalla fine senza togliere nulla al piacere della lettura. Sappiamo com’è andata. Il funerale di Enrico Berlinguer: un milione di persone e bandiere rosse in piazza, per molti, come per l’autrice Elettra Stamboulis, la prima «manifestazione» senza genitori. Un momento di dolore collettivo, non solo il saluto affettuoso e accorato di una parte politica del paese ad una figura di spicco, ma anche la fine di una fase storica.
È da questo ricordo che la sceneggiatrice, autrice insieme all’illustratore, fumettista, e disegnatore Gianluca Costantini, ha deciso di cominciare a raccontare graficamente Enrico Berlinguer.
È la prima volta che il segretario nazionale del Pci entra nelle pagine di un fumetto, accade in Arrivederci, Berlinguer, BeccoGiallo editore. Le strisce restituiscono con intensità alcuni episodi della sua vita politica e, in parte, anche privata, oltre ai tratti del viso un po’ duri e marcati, le rughe e la sigaretta in bocca di quell’uomo schivo e riservato. Nel marzo del 1972 Berlinguer è eletto segretario del partito comunista, sostituisce Longo, che a causa della malattia è costretto a dimettersi. Sono trascorsi molti anni da allora, a giugno si celebrerà il trentennale della sua morte. Berlinguer è diventato un’icona per rigore, serietà e riservatezza, oltre che per la svolta storica iniziata e rimasta incompiuta.
Un uomo che ha segnato la politica del nostro paese, e non solo, nell’arco storico e temporale dal dopoguerra fino a metà degli anni ’80. È il sette giugno dell’84 quando a Padova durante un comizio è colto da un malore, morirà quattro giorni dopo. Sarà Sandro Pertini, allora presidente della Repubblica, ad accompagnarlo a Roma «come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta». Le immagini sono dapprima seppiate, poi somigliano a fotografie alternate ad acquerelli colorati a pennellate e matite rosse. Un altro capitolo e un altro stile grafico dai colori accesi, quasi pop.
La questione morale esplode dopo il terremoto dell’Irpinia nel 1980. Qualche anno prima le brigate rosse e il Pci vicino a governare con Moro. Qui le tavole sono in bianco e nero con alcuni segni rossi ad evidenziare l’auto in cui venne ritrovato il corpo del segretario della Dc, il suo volto e le mani mentre è accasciato nel baule. Poi gli occhiali di Craxi, la lista P2, l’imprenditore Berlusconi. Il viaggio a ritroso continua con il racconto del giovane Berlinguer nella sua Sassari, la famiglia, le origini, i primi passi nella politica.
Altro cambio di tratto, su sfondo grigio i contorni delineati a penna. Disegni essenziali, puliti, scarni, che ci riportano al 1944 anno della prima protesta da lui guidata, allora a capo del circolo giovanile comunista, che gli costò tre mesi di carcere per aver scatenato i moti e turbato l’ordine pubblico. Poi l’arrivo del giovane Enrico nella Roma appena liberata, a seguire Milano. La passione per la moto, a cui fu costretto a rinunciare per ragioni di sicurezza, uno degli ultimi e pochi episodi privati di Berlinguer, com’è illustrato in maniera efficace con una saracinesca che cala sul suo privato. La visita in Vietnam, le prime proteste nelle aule universitarie: «Alla fine del ’67 è occupata la Cattolica di Milano e Palazzo Campana a Torino. L’Italia è troppo lenta nel cambiamento. Ha un sistema politico bloccato. E una modernità senza riforme. Non solo nel ’68. Le stesse parole le potremmo usare per descrivere l’Italia del nuovo millennio…».
La celebre frase il personale è politico che meglio di tante altre spiega la linea di condotta di quell’uomo pubblico attento a preservare la sua sfera privata e familiare. Insieme alla narrazione del personaggio, la trasformazione del paese a cui s’aggiungono elementi biografici dell’autrice nata negli anni ’70 da genitori greci che hanno lasciato il paese in piena dittatura. Si ripercorre il rapporto politico e la trattativa con Aldo Moro, con un disegno ridotto al minimo: delle silhouette rosse e nere difficili da distinguere, se non fosse per il nome scritto sopra. Si narra un momento storico in cui le cose sembrano poter cambiare «la possibilità di un governo con i comunisti diventa più realistica. Anche se ogni ipotesi pronunciata riceve l’alt degli americani immediatamente…».
Moro sosterrà apertamente l’entrata del Pci nel governo. Il 16 marzo del 1978 il presidente della Dc viene rapito dalle brigate rosse. Quella pagina si chiude drammaticamente. Nel 1980 è tempo di scioperi e di operai in lotta, come a Torino Mirafiori. Berlinguer porta il suo sostegno ai lavoratori. La trattativa non andrà a buon fine, ma tutti ricorderanno la sua visita. Il racconto di Berlinguer e dei fatti di quegli anni sono necessari per interpretare e comprendere ciò che ancora oggi accade nel nostro paese. Un’eredità lasciata e non raccolta dopo di lui. Agli autori, Elettra Stamboulis e Gianluca Costantini, abbiamo rivolto alcune domande.
Elettra, cosa ti ha colpito di più della figura di Berlinguer?
Lo sentivo vicino, faceva parte del mio vissuto e di quello di una generazione rimasta orfana. Intendo i quarantenni che avevano vent’anni con la Pantera. Il mio è biografismo, funzionale a dare un taglio interpretativo alla storia. Arrivederci, Berlinguer è un romanzo grafico a tesi. Tutto quello che è riportato è vero, ma l’obiettivo non era raccontare la mia vita e neanche quella di Berlinguer. Il segretario discreto e riservato ometteva il privato, e una vita senza privato non è. Piuttosto uno spaccato visivo e narrativo di quel resta di quegli anni, della straordinaria esperienza del Pci. Cioè, non ordinaria. Prima di scrivere la sceneggiatura conoscevo solo la sua immagine e cosa è stato per noi dopo, sapevo poco di lui. È stato difficile trovare elementi biografici. Per raccontare una storia servono i ricordi degli amici, le testimonianze, elementi fondamentali per entrare nel personaggio. Invece c’era solo l’aspetto pubblico, poco sul suo privato.
Quale eredità di pensiero politico ha lasciato, e chi l’avrebbe raccolta?
Penso non ci siano eredi, quella vicenda si è conclusa e Berlinguer ha chiuso la porta su una fase storica e politica. Alla fine della sua carriera è un uomo solo, molto amato e seguito, ma solo. Assiste alla rottura di una parte del partito, il Pci si avvia pian piano verso la fine. La sua è stata una politica fuori dall’orizzonte del comunismo, si è spinto più in là, più affaristica in un senso non negativo, che tentava la gestione del presente. Ha lasciato una generazione di orfani che si sono ritrovati uniti forse più da una dimensione nostalgica che costruttiva.
E la sua attualità?
È diventato un’immagine, ma il suo discorso politico per l’attuale Pd sarebbe eversivo. Non abbiamo voluto farne un santino, Berlinguer era segretario del partito nel ’77 quando si è consumata la rottura del Pci con il cambiamento. È cominciata la sua inattualità, è venuto a mancare il rapporto con chi chiedeva quel cambiamento. Mi ha colpito molto che Tsipras al Teatro Valle occupato abbia detto di essere cresciuto leggendo Berlinguer. C’è una dimensione internazionale poco conosciuta che lo riguarda, un’eredità molto sentita all’estero. Si dovrebbe lavorare sul «Berlinguer degli altri», fuori dai nostri confini ha creato un’immagine molto diversa. Mentre la politica contemporanea non ha una visione né una dimensione internazionale.
Per quanto riguarda lo stile, Gianluca hai fatto delle scelte grafiche molto diverse da capitolo a capitolo. Perché?
Ho cercato di esprimere attraverso i disegni gli anni ’80, un periodo molto creativo, ma anche folle. Ogni capitolo è graficamente diverso per colpire meglio il momento che Enrico Berlinguer stava vivendo e le emozioni che volevamo far trasparire. Nel fumetto disegno e parola sono uniti, ogni tratto e ogni lettera camminano insieme. Spesso bisogna togliere molti dettagli o aggiungerne per far sì che l’immagine raggiunga più velocemente il suo obiettivo. Ogni segno colpisce in maniera diversa l’occhio e il cervello di chi guarda e legge. Mixando continuamente i linguaggi visivi si può far danzare lo sguardo.
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