Benevento, Padova, Vallo della Lucania, Vasto, Trecase e Boscoreale in provincia di Napoli. Sono questi i primi sette comuni utilizzatori di voucher. Dai dati forniti dall’Inps alla Cgil e rielaborati dalla Funzione Pubblica del sindacato risulta che i buoni lavoro sono stati usati per occupare 1078 lavoratori per una spesa complessiva di 2 milioni e 418.150 euro. A Benevento sono stati usati 201 voucheristi per una spesa complessiva di 721 mila 510 euro, a Padova 135 per 361 mila 330 euro, a Vallo della Lucania 401 per 334 mila 400 euro, a Vasto 73 per 266 mila 740, ad Ancona 89 per 261 mila 350 euro, a Trecase 93 per 246 mila 140 euro, a Boscoreale 86 per 226 mila 680 euro. Queste persone sono state impiegate, per poche ore pagata ciascuna 7,50 euro nette più 2,50 tra tasse e contributi, in manifestazioni sportive, fieristiche, eventi culturali, lavori di giardinaggio, pulizia, manutenzione e attività «non classificate». I dati sono emersi dalla lista delle 200 aziende e amministrazioni (pubblicata per la prima volta da Il Manifesto) che la Cgil ha ottenuto dall’Inps dopo le polemiche con il suo presidente dell’Inps sull’uso dei voucher tra i pensionati del sindacato. Uso, tra l’altro, congruo rispetto alla natura del lavoro occasionale prestato.

Per Serena Sorrentino, segretaria della Funzione Pubblica Cgil, il ricorso ai voucher da parte dei comuni «dimostra che il blocco delle assunzioni ha spostato al di fuori del rapporto di lavoro pubblico fette di lavoro che tra appalti, esternalizzazioni e precariato hanno tolto opportunità di impiego stabile a tanti e prodotto diseconomie, il cui prezzo lo hanno pagato i lavoratori e i cittadini». La presenza di sette comuni tra i primi 200 utilizzatori dei voucher «è un segno che quando raccontano che i voucher sono utilizzati per risolvere il problema del lavoro nero si racconta una gigantesca bugia. In realtà i voucher sono utilizzati per precarizzare», aggiunge il segretario generale della Cgil Susanna Camusso. La Pubblica amministrazione si conferma all’avanguardia dello sfruttamento del precariato. I voucher sono diffusi anche nei servizi sociali e assistenziali.

Clemente Mastella, sindaco di Benevento, ha assicurato di essersi limitato ad applicare le decisioni della precedente amministrazione «per garantire la continuità amministrativa» dei progetti finanziati dall’ente locale. Il ricorso ai voucher è stato favorito da «bandi regionali» e da «norme statali» «per determinate tipologie di attività»: i servizi di giardinaggio e, soprattutto, gli «eventi»: dalle fiere sulle specialità locali fino ai concerti. Mastella invita a una «riflessione seria e senza falsi moralismi». Con la consueta schiettezza, l’ex ministro della giustizia ha richiamato lo spirito del tempo. I voucher sono usati dai comuni per «chi vive una condizione di estremo disagio». Si può aggiungere che rientrano in un’economia che va dall’Expo di Milano alla fiera di paese ai lavori socialmente utili. La forza lavoro viene pagata fino a 500 euro all’anno.  Per il sindaco di Boscoreale Giuseppe Balzano ai voucher andrebbe «prolungato il tempo di utilizzo. Quello attuale è troppo ridotto» .

Analoghe polemiche aveva provocato l’uso dei voucher nel comune di Napoli. Il caso era stato sollevato dal presidente dell’Anpal, l’agenzia nazionale delle politiche attive creata dal Jobs Act, Maurizio Del Conte.  Nella città partenopea il sindaco De Magistris ha sostenuto di non condividere lo «strumento, ma non non ho voluto penalizzare i lavoratori». L’assessore al Lavoro Enrico Panini, con una lunga militanza nella Cgil che oggi chiede l’abolizione dei voucher con il referendum, i voucher sono stati scelti dalla regione Campania.«Cosa avremmo dovuto fare noi, escludere solo i napoletani? Abbiamo già ricevuto 2.300 richieste» ha chiesto. Il bando – lo stesso usato da Benevento o da Boscoreale, ha riservato il buono lavoro ai cassaintegrati non più coperti da ammortizzatori sociali. In pratica è l’ultimo strumento di lavoro di ultima istanza prima dell’inattività assoluta ed è riservato ai redditi più poveri in assoluto.

A Torino la giunta a Cinque Stelle guidata da Chiara Appendino ha ricevuto in eredità dall’amministrazione precedenti di Piero Fassino un analogo bando,con una variante. Il bando era stato finanziato con 35 mila euro stanziati dalla Compagnia di San Paolo che finanzia il welfare e i servizi educativi nella città piemontese. In questo caso il voucher non è applicato ai disoccupati, ma come sostegno al reddito per “giovani”. “Personalmente non trovo giusto rinunciare al finanziamento – ha sostenuto la sindaca Chiara Appendino (M5S) – Guardando però al futuro, questa è l’occasione per prevedere un momento di confronto sull’utilizzo di questi strumenti anche con le parti sindacali”.

Non c’è dunque solo la sostituzione del personale dipendente, in fondo ancora limitata, con i voucheristi. La mancanza di una legislazione sul reddito minimo garantito, e altre forme di tutele universali della persona, spinge le amministrazioni ad usare il voucher come strumento per reintrodurre questa persona sul mercato del lavoro. E’ chiaramente un’illusione: non solo il voucher è uno strumento inadeguato per questo fine, ma è pensato per non creare un rapporto di lavoro continuativo. Il voucher è diventato uno strumento di gestione filantropica e compassionevole della precarietà di massa di varie generazioni di precari. Solo la Compagnia di San Paolo ha siglato 24 accordi con altrettanti comuni e 2,5 milioni di euro all’anno in voucher alle associazioni del terzo settore e ha chiesto al ministero di lavoro di evitare di inserire restrizioni che ridurrebbero i progetti di assistenza. La creazione dei voucher ha creato un altro segmento di mercato di lavoro nel terzo settore.

Alla luce di questi dati il voucher va compreso non tanto, o non solo, come una forma di precariato in sé, ma come uno degli strumenti della continua transizione del precario dal lavoro nero a quello grigio, da un lavoro parasubordinato a uno pagato a cottimo, tanto nel pubblico quanto nel privato. Il lavoratore, disoccupato cronico, giovane o precario di lunga data, lo usa accanto ad altre forme di lavoro e di non lavoro. Bruno Anastasia, Saverio Bombelli e Stefania Maschio nella ricerca «Il lavoro accessorio dal 2008 al 2015»  hanno dimostrato che la maggioranza del milione e 380 mila percettori dei buoni lavoro nel 2015 opera in nero e, solo in parte, viene pagata con i voucher. I lavoratori maschi tra i 30 e i 50 anni che sono effettivamente emersi dal nero rappresentano una componente irrisoria e, tra l’altro, hanno un costo aziendale medio annuo tra i 6-700 euro ciascuno. In realtà, i voucher sono un «iceberg» e segnalano che il «nero» è in gran parte rimasto sott’acqua. Il lavoro a scontrino va piuttosto inteso come una prestazione associata molto spesso al lavoro part-time.

Il voucher è  dunque una delle possibili forme di una ricerca infinita del reddito che comprende il part-time, il volontariato o il servizio civile usati per non assumere e sostituire lavoratori regolari. Accade in alcuni bandi del ministero dei beni culturali. Il ricorso al lavoro tendenzialmente gratuito, o a spese dei lavoratori, è ovunque. Il voucher è la punta di questo iceberg. La lista diffusa dalla Cgil dimostra che gli enti locali non sono da meno dei privati. E già oggi usano una di queste forme – o tutte – per assicurare la normale amministrazione, tanto nel pubblico quanto nel privato.

VOUCHER OGGI
Le prime aziende utilizzatrici di voucher, fonte Inps

Il “buono lavoro” scomparirà. Può darsi che il referendum Cgil riuscirà ad abrogarlo. Oppure sarà il governo Gentiloni a modificarlo. Ciò non toglie che la tendenza strutturale si esprimerà in altre forme, coinvolgendo lavoratori specializzati e non specializzati. Il precariato, tanto nel pubblico quanto nel privato, si sta trasformando in «lavoretto» on demand o a chiamata. Il suo modello non è il precario da stabilizzare, ma il ciclofattorino di Foodora che risponde a un algoritmo ed è impiegato nel nuovo cottimo. Restando in vigore il blocco del turn-over (meno 237.220 unità in 7 anni nello Stato), i tagli ai bilanci, la privatizzazione delle municipalizzate, in mancanza di una riforma radicale della legislazione che produce precariato a mezzo di leggi, anche nella P.A. l’alternativa non è più tra lavoro dipendente o autonomo, ma tra precariato del contratto a termine e forza lavoro che si compra in tabaccheria o su una App.