Nell’Europa contemporanea lo spazio sociale e politico delle religioni è sempre più marginale, tanto che molte confessioni attraversano una radicale crisi di identità, non riuscendo più a intercettare bisogni, desideri e speranze degli individui. Ma non tutto il pianeta è come l’Europa e, fino ad alcuni decenni fa, nemmeno l’Europa viveva una così marcata secolarizzazione. Non è pertanto fuori luogo che al problema teologico-politico vengano dedicati studi approfonditi quali quelli presenti nel volume collettaneo Religione e politica: paradigmi, alleanze, conflitti (Edizioni ETS, pp. 288, euro 27). Questo libro è interessante per più motivi. Innanzitutto è – caso abbastanza raro – il prodotto di un lavoro seminariale collettivo, promosso da giovani ricercatori e ricercatrici dell’Università di Pisa.

INOLTRE, i saggi compongono un ampio caleidoscopio intorno al rapporto tra filosofia, religione e politica, ben riuscito anche perché tra i contributi sono presenti sia saggi di giovani studiosi e studiose (tra cui Giuditta Bissiato, Rita Fulco, Dino Galli, Chiara Scordari), sia saggi di autori più esperti (tra cui Steven Nadler, Marco Geuna e Joshua Parens). Infine, il volume affronta la questione teologico-politica attraversando l’intera storia della filosofia, da Platone ad al-Farabi, da Maimonide a Machiavelli, da Hobbes a Spinoza, da Kant a Marx, da Carl Schmitt a Simone Weil e Marcel Gauchet.
Senza entrare nel merito dei singoli saggi, preme qui riflettere su una questione fondamentale che attraversa il volume: perché le religioni hanno sempre avuto un ruolo di primo piano nella storia delle società e della politica? Senza dubbio, la religione è stata spesso un instrumentum regni attraverso cui si è reso più facile il controllo ideologico delle masse, facendo ricorso a un fondamento superiore che ha legittimato il ruolo e l’azione dei governanti con un appello all’autorità trascendente. Ma la religione è stata anche altro nella storia, cioè un principio rivoluzionario e di critica del presente: basti pensare qui al ruolo delle prime comunità cristiane a base evangelica e alla Qabbalah ebraica, a Thomas Müntzer e agli Zappatori inglesi. Infatti, anche senza scomodare i contributi classici di Durkheim e Freud, Bataille e Girard, è evidente che la politica si fonda sempre su una dimensione simbolica che rimanda a un «altrove» non riducibile al «qui e ora».

POICHÉ L’ESSERE UMANO non vive solo nel presente ed è caratterizzato dalla capacità di immaginare qualcosa di assente, la religione ha spesso soddisfatto tale bisogno di «ulteriorità», talvolta in forme conservatrici, altre in forme progressiste. Naturalmente questa ricerca dell’altrove non costituisce un patrimonio esclusivo delle religioni, perché essa è presente in ogni prospettiva filosofica della modernità che abbia davvero voluto rispondere al bisogno di libertà e uguaglianza, di giustizia e cambiamento, pena la riduzione della politica a dominio autoritario o a burocratica amministrazione: tale ricerca la troviamo, per esempio, in Spinoza, Rousseau e Marx, ma la troviamo anche nelle utopie a base religiosa (Capitini e Gandhi, tra gli altri).
Questa dimensione simbolica dell’«altrove» sembra essere dimenticata nell’Europa contemporanea, dove la politica è solo riproduzione dell’esistente in una forma funzionalistica. Vere istanze di cambiamento collettivo sono rare e comunque esterne ai circuiti istituzionali, che parlano continuamente di «innovazione» ma in una forma ideologica e tecnica come supporto alla riproduzione del sistema capitalistico.

LA RELIGIONE può allora costituire uno degli spazi in cui recuperare la scintilla del cambiamento e della giustizia, ma solo se si pone come luogo dell’«ulteriorità» – come in al-Farabi e Simone Weil, per citare due prospettive presenti nel volume –, non certo se si presenta come forma di potere istituzionale o come autorità a servizio delle grandi organizzazioni del capitalismo digitale (e quindi del circuito «produzione-consumo», il «vitello dell’oro» della contemporaneità). In passato le religioni hanno molto spesso creati idoli, e ancora oggi possono farlo, ma possono costituire anche lo strumento attraverso cui smascherare il nostro attuale vitello d’oro.