«Speranza sì, la coltivo ogni giorno. Ma fiducia nelle istituzioni proprio no». A caldo reagisce così Elio Gubellini, taxista in pensione, di fronte alle parole della ministra della Giustizia Marta Cartabia, quando sulla strage di Bologna chiede ai bolognesi di tornare a guardare con fiducia al governo.

Gubellini, 75 anni, si è presentato di fronte alla stazione di Bologna col suo scooter e un cartello in ricordo dei soccorsi che tutti i bolognesi, taxisti compresi, portarono immediatamente a chi finì travolto dall’esplosione. Una vita alla guida del suo taxi Padova 5 per la CoTaBo, la cooperativa dei taxisti cittadini, Gubellini quando scoppiò la bomba si salvò perché col suo mezzo aveva lasciato da pochi minuti il piazzale dove tutti i suoi colleghi attendevano i clienti. «Sentii un botto fortissimo, ci dissero prima che era un aereo che volava troppo basso, poi una caldaia esplosa, alla fine capimmo che si trattava di ben altro. Mia moglie lavorava in stazione e si salvò di un soffio. Morirono invece due miei colleghi, uno lo trovai in ospedale, bianchissimo e senza un graffio in mezzo al mare di sangue delle altre vittime, con solo una piccola ammaccatura sulla testa. Quell’immagine la porterò sempre con me».

Gubellini è uno dei tanti che ieri per l’ennesima volta sono scesi in strada per ricordare la strage fascista di 41 anni fa. E come lui sono molti quelli che la fiducia, più che nello Stato, la nutrono nel lavoro dell’Associazione dei familiari delle vittime, in quello dei magistrati che stanno indagando sui mandanti, nella istituzioni locali che sul 2 Agosto non hanno mai mollato di un centimetro. Ma di governo e «politica romana» in pochi vogliono parlare.

«Ho ascoltato il discorso della ministra Cartabia, a me però hanno emozionato molto di più le parole del nostro presidente Paolo Bolognesi. Sono 41 anni che scendiamo in piazza, per favore non fateci morire senza giustizia». Mirella Guoghi aveva 40 anni quando scoppiò la bomba alla stazione. Era in stazione con la figlia, all’epoca adolescente. Ieri tutte e due hanno seguito il corteo con la gerbera bianca al petto, il fiore che contraddistingue i membri dell’associazione del 2 agosto. «E’ c’è anche lui», ha detto sorridendo la signora Mirella indicando il giovanissimo nipote. Tre generazioni in piazza.

«Il 2 agosto 1980 avevo sei anni – racconta invece Yuri Zini – Mio padre ero ferroviere e il mio sogno era quello di guidare un treno. Dal giorno della bomba non ho più messo piede in una stazione, per anni. Ci salvammo per esserci fermati a parlare con un conoscente. Quando saltò tutto per aria io fui sbalzato metri in là, contro il treno in attesa sul primo binario. Mio padre mi raccolse e mi portò in ospedale, per fortuna non riportai ferite gravi». «In fondo – spiega Zini – noi vogliamo solo la verità, vogliamo sapere chi ha ordinato la strage. Ma arrivare in fondo non sarà facile».

«Ero in sala d’aspetto quando ci fu l’esplosione, ci vollero due anni per tornare a muovermi», racconta Eliseo Pucher, arrivato da Udine per seguire la manifestazione. Eliseo fu un miracolato, lo dice lui stesso: «Quelli che erano attorno a me morirono». Ricorda una bimba che voleva un gelato, un signore nella sedia accanto. Dopo il botto e il crollo si ritrovò immerso fino all’ombelico nelle macerie. «Ancora oggi quando sento un rumore forte mi paralizzo, non riesco più a fare nulla».
Fiducia nelle istituzioni? «Senza l’associazione dei familiari delle vittime nessuno di noi sarebbe qui a ricordare, e nemmeno quei politici che ogni anno parlano sopra al palco».