Nelle ultime settimane la cyber-war tra Stati uniti e Russia è entrata in una nuova, più acuta, fase. Tre giorni fa il Washington Post ha rivelato che il «Cyber Command» delle forze armate statunitensi ha condotto un’operazione contro l’Agenzia per la ricerca internet di San Pietroburgo (considerata dagli Usa «una fabbrica di troll») durante le elezioni statunitensi di midterm bloccandogli l’accesso alla rete per oltre 24 ore.

Secondo il giornale americano, «l’attacco all’Agenzia è parte della prima campagna offensiva contro la Russia volta a frenare i tentativi di interferire nelle elezioni negli Stati uniti». L’operazione sarebbe stata un avvertimento «ai troll, agli hacker che lavorano per l’intelligence militare russa» per dimostrare la possibilità di isolare e bloccare la rete russa.

Non meno clamorosa la decisione del provider di Jacobin, la rivista telematica della sinistra radicale americana che vanta un milione di visite mensili, di bloccare a partire da mercoledì scorso l’accesso al sito agli utenti in Russia, Ucraina e altri paesi dell’ex-Urss (anche se non risulta chiaro se la decisione sia stata presa autonomamente o su indicazione governativa). S

econdo fonti della sinistra russa che collaborano con Jacobin, dopo la pubblicazione di alcuni articoli sulla Russia nelle ultime settimane il sito si era trasformato in campo di battaglia per troll russi filo-Putin che ora con l’oscuramento avrebbero raggiunto il loro obiettivo di non far conoscere Jacobin in Russia.

A Mosca si corre ai ripari. Una settimana fa è stata approvata in prima lettura una legge per la «creazione di segmenti di rete internet autonomi russi».

La legge, che per l’opposizione russa sarebbe il primo passo verso la «cinesizzazione» del web russo e l’isolamento dalle community mondiali, è stata sostenuta dallo stesso Putin come strumento «non volto a limitare l’accesso dei russi al web ma piuttosto come strumento della difesa russa in caso di grave crisi o di conflitto con gli Usa. A oggi potremmo restare isolati informaticamente», ha avvertito il presidente.

Ma non si tratta solo di una battaglia della comunicazione: c’è tutto il capitolo dello spionaggio classico che sempre di meno usa agenti segreti e sempre di più la pirateria informatica. Martedì scorso, dopo un processo a porte rigorosamente chiuse, il tribunale militare distrettuale di Mosca ha condannato l’ex vice capo del Centro per la sicurezza delle informazioni dell’Fsb, il colonnello Sergey Mikhailov a 22 anni di reclusione «a regime duro» per alto tradimento.

Condannato con lui l’ex top manager di Kaspersky Lab, Ruslan Stoyanov, a 14 anni sempre a «regime duro». Secondo Kommersant, l’alto papavero dei servizi e il dirigente di Kaspersky Lab erano accusati di aver informato la Cia sui dettagli del caso giudiziario contro il fondatore della società Chronopay, Pavel Wroblewski, in cambio di 10 milioni di dollari.

Il caso è particolarmente significativo non solo perché coinvolge un alto ufficiale dell’Fsb ma perché il fondatore della società specializzata in protezione di dati informatici Evgeny Kaspersky si è formato al Kgb e ha dimostrato sempre di avere ottime entrature al Cremlino.

Il suo funzionario, che si noti bene non è stato licenziato dalla Kaspersky, sarebbe stato tra l’altro accusato di avere legami con Anonymous International (nota anche come Humpty Dumpty), gruppo di hacker russi diventato famoso per aver pubblicato documenti sensibili sulla politica interna della Federazione Russa, nonché la corrispondenza postale personale di membri del governo come il capo ufficio del premier Dmitry Medvedev. Il gruppo si sarebbe specializzato negli anni nell’intercettazione della corrispondenza e nell’hacking dei dati sensibili di funzionari di alto rango e di grandi aziende.

Nel 2015 destò scalpore la pubblicazione da parte di Anonymous International di 75 documenti contenenti informazioni compromettenti sulle attività di funzionari e di politici russi. Alla fine di ottobre 2016, Vladimir Anikeev, conosciuto con lo pseudonimo di Lewis e leader di Anonymous, venne arrestato con altri sei membri del gruppo e condannato a due anni di reclusione. Ma a oggi non è mai stato chiarito se questa «Internazionale» operasse solo a fini di ricatto economico o fosse collegata al radicalismo hacker mondiale.