Due donne entrano con in mano un secchio e uno straccio e cominciano a pulire meticolosamente il palco, mentre ancora sono accese le luci in sala. In sottofondo si ascolta una musica etnica. Dopo un po’ le raggiunge un’altra donna che diffonde nell’aria un fumo odoroso di incenso – è lei, Bouchra Ouizguen, l’artefice di Éléphant, spettacolo inaugurale di Vie festival. Comincia con un rituale di consacrazione il festival d’autunno di Emilia Romagna Teatro curato da Barbara Regondi, che torna dopo l’anno della pandemia in cui aveva potuto soltanto gettare un paio di «tracce». Sarebbe piaciuto a Leo de Berardinis che aveva chiamato la danzatrice indiana Sanjukta Panighahi a sacralizzare il suo «spazio della memoria» appena aperto nella periferia bolognese.

È UN CONCERTATO di suoni e lente movenze di danza, di canti accompagnati dalla percussione dei piccoli tamburi chiamati darbuka, lo spettacolo che Bouchra Ouizguen, coreografa e danzatrice marocchina con base a Marrakech, assai apprezzata sulla scena internazionale, ha portato allo Storchi di Modena. Eccole ritornare addobbate con pesanti mantelli colorati, siedono sul tappeto che hanno disteso sul palco, accennano con un movimento dei fianchi un desiderio di sensualità negato dai costumi in cui sono infagottate. Ma di quei canti che si rimpallano fra la voce solista e le altre che fanno da coro non ci giungono le parole. E qualcosa perdiamo.
Si corre allora a Vignola, al teatro Fabbri, dove Lisa Ferlazzo Natoli mette in scena Il ministero della solitudine, testo collettivo dei cinque interpreti cui Fabrizio Sinisi ha dato forma drammaturgica e Marta Ciappina la struttura del movimento. Il titolo cattura, c’è poco da fare. E intorno a quel germe in effetti è cresciuto lo spettacolo: l’idea di una struttura governativa preposta a dare conforto al disagio emotivo dei tanti cuori solitari – ecco infatti l’addetta al call center che raccoglie le richieste d’aiuto. Un ossimoro praticamente. Attorno a cui si sviluppano le storie delle figure che occupano la scena (sono Caterina Carpio, Tannia Garribba, Emiliano Masala, Giulia Mazzarino, Francesco Villano).

L’idea di una struttura governativa preposta a dare conforto al disagio emotivo dei tanti cuori solitari – ecco infatti l’addetta al call center che raccoglie le richieste d’aiuto.

Fra intrecci e intersezioni che però non si decantano mai in una storia comune. Che ci sia qualcosa di sfasato lo dicono subito i gesti incontrollati che affiorano nei passi con cui entrano in scena, che è già una coreografia. C’è la ragazza che tiene sempre su le cuffie a isolarla dal mondo e si tira dietro una poltrona Sacco, quella in cui sprofondava Fracchia per capirci. La donna matura che scrive il banale romanzo della sua vita e il quarantenne in cerca di lavoro… Too many friends, cantano i Placebo. Perché Il ministero della solitudine aspira anche alla leggerezza del musical, si finisce infatti in discoteca. A dare un ultimo tocco di malinconia a uno spettacolo molto bello che prende un poco alla volta.
Resta il dubbio se la solitudine non sia conquista piuttosto che condanna. Non per caso a un certo punto compare la parola algofobia di cui parla ne La società senza dolore un «filosofo coreano» che sarebbe poi il berlinese Byung-Chul Han. Prefigurazione di un mondo terrorizzato dalla sofferenza, che tenta di sbarazzarsi di tutto ciò che è negativo. E fa più paura della solitudine.