Un nuovo obiettivo del Pd, per rendere più «equa» la legge di stabilità, soprattutto dopo le critiche piovute nelle scorse settimane sui provvedimenti relativi al cuneo (del tutto inadeguato, al massimo 10-14 euro al mese in più) e alle tasse sulla casa, architettate in modo tale che per alcuni (e non solo per i ricchi) potrebbero addirittura aumentare rispetto alla vecchia Imu. Ecco che il partito, sembra con l’accordo dello stesso premier Enrico Letta, voglia restringere la platea dei beneficiari, abbassando il requisito della soglia di reddito, in modo da garantire 200 euro in più nel 2014 (al posto dei 100-120 di cui si è parlato finora) e addirittura 500 nel 2016.
Ma ovviamente è tutto da verificare, e si dovrà attendere non solo la scadenza del periodo entro cui è possibile presentare nuovi emendamenti (ieri eravamo già a 3 mila, si può fino a domani), ma anche la lunga discussione in aula che porterà all’approvazione.

Il progetto è quindi quello di abbassare il tetto di reddito dei beneficiari, dagli attuali 55 mila euro annuali a 25-28 mila euro. L’idea è venuta fuori da una riunione dei parlamentari Pd con Letta. La riduzione della platea consentirebbe di innalzare gli sgravi pro capite a 200 euro nel 2014. L’obiettivo successivo è quello di un incremento nel 2015 e poi nel 2016, che porterebbe la somma a 500 euro. E resta in piedi l’ipotesi di consentire questo benefit in un’unica tranche anziché distribuirlo sull’arco dell’intero anno. Allo studio anche misure di sostegno per incapienti e pensionati attraverso, ad esempio, nuove esenzioni dalla Tasi (la parte della Trise che riguarda i rifiuti).

Altre ipotesi, illustrate ieri dal relatore al ddl Stabilità, Giorgio Santini (Pd), sarebbero quelle di attenuare l’intervento sulla deindicizzazione delle pensioni medio-basse; assicurare una flessibilità nell’accesso alle pensioni per i licenziati over 62; ipotizzare, come detto, una Trise che preveda detrazioni per riequilibrare il peso sulle fasce più basse; trovare risorse dalla tassazione delle rendite finanziarie,dalla Tobin tax e dalle imposte su giochi e scommesse on line.

Intanto ieri, dal fronte della crisi, è arrivato un nuovo dato, molto pesante, che forse dà l’idea di quanto rischino di essere inadeguati i pochi cappuccini e cornetti (di qualche euro in più si tratterebbe) messi sul piatto dal governo: il ministro dello Sviluppo Flavio Zanonato ha spiegato che al momento, al suo tavolo, sono aperti 170 casi di aziende a rischio chiusura. Altrettante (150-160) le imprese già commissariate. «I dati del mio ministero sono drammatici – ha spiegato il ministro – Abbiamo 170 tavoli aperti di aziende normalmente medio-grandi e 150-160 realtà con un commissario. Se non ripartono crescita e sviluppo, altre ipotesi possono essere suggestive ma non realistiche». «C’è un gap rispetto ai paesi più sviluppati dell’Unione europea», ha continuato Zanonato, individuando 5 elementi che vedono l’Italia in ritardo: «Costo del lavoro nel cosiddetto cuneo fiscale; difficoltà ad accedere al credito; difficoltà burocratiche; ritardo negli investimenti in attività innovative e costo dell’energia elettrica».