Padre Antonio Loffredo è arrivato alla Sanità quasi dieci anni fa da un’altra periferia napoletana: Poggioreale. In pochi anni è riuscito a organizzare cooperative di ragazzi e metterli al lavoro, recuperare la basilica di San Gennaro fuori le mura e far restaurare quella di Santa Maria alla Sanità, aprire un bed&breakfast nell’ex dormitorio della chiesa, aprire al pubblico le catacombe di San Gaudioso e quelle di San Gennaro, creare una casa-famiglia nella zona più povera del quartiere. Oggi, grazie soprattutto alla sua iniziativa, in uno dei rioni più poveri e “pericolosi” di Napoli fioriscono iniziative culturali e si vedono i primi turisti. Padre Loffredo è una figura di parroco atipica: non ha mai indossato la tonaca se non i primi giorni alla Sanità, perché aveva bisogno dell’autorità per farsi accettare; più che un teorico e un uomo pratico, anche se il libro in cui racconta la sua esperienza – Noi del Rione Sanità, pagg. 180, Mondadori editore, euro 17 – si legge tutto d’un fiato. Lui si definirebbe un «imprenditore sociale», non votato al profitto ma a dare un futuro ai figli della Sanità, sottraendoli alla camorra e permettendo loro di studiare, viaggiare, in buona sostanza di essere liberi. Una pagina, tra le tante, colpisce: racconta la vita e la morte di Yvette, femminiello la cui famiglia era tutto il vicolo. Quando arrivò a darle l’estrema unzione, piangevano tutti. Gli omofobi non abitavano da quelle parti.