Il baby boom da lockdown non c’è stato. Anzi, il Covid ha portato a un nuovo record negativo delle nascite: 404.892 (meno15mila sul 2019), come riportato dai dati diffusi dall’Istat su natalità e fecondità nella popolazione residente in Italia nel 2020. Se a marzo dell’anno scorso, con la chiusura totale del paese, c’era chi ipotizzava un gran numero di concepimenti sull’onda di un’ipotetica maggiore intimità domestica, i numeri dicono l’esatto contrario: se si prendono in considerazione i mesi di novembre e dicembre – quando in teoria si sarebbero dovuti raccogliere gli effetti dell’inizio della pandemia -, il calo è infatti vertiginoso: -8.3% nel primo caso e addirittura -10.7% nel secondo. I dati provvisori del 2021, poi, lasciano intendere che non c’è stata alcuna inversione della tendenza: da gennaio a settembre le nascite sono state 12.500 in meno, quasi il doppio rispetto a quanto rilevato nello stesso periodo del 2020.

Anche la geografia delle nascite conferma l’incidenza negativa del Covid: il Nord-Ovest del paese, dove fu registrato il numero maggiore di casi, a dicembre ha affrontato un calo del 15.4% di nuove culle.

A livello nazionale, in ogni caso, è a gennaio 2021 che si è registrata la massima riduzione dei nati (-13.6%). Il forte calo, commenta l’Istat, è «tra i più ampi mai registrati, dopo quello già marcato degli ultimi mesi del 2020». Questo, in conclusione, «lascia pochi dubbi sul ruolo svolto dall’epidemia». Forse c’era da aspettarselo, il cosiddetto baby boom blackout – la mancanza di elettricità pure viene considerata un buon viatico per il concepimento – è un fenomeno che piace molto ai rotocalchi ma, al di là degli aneddoti più o meno personali, non ha mai trovato dati convincenti a dimostrare che sia vero.

«Entro la fine dell’anno gli italiani saranno meno di 59 milioni – sostiene il presidente dell’Istat Giancarlo Blangiardo -, rispetto alla denatalità non c’è più distinzione tra Nord e Sud. Il Meridione si è ormai allineato al resto d’Italia». Le stime dell’istituto statistico parlano di una situazione che, a metà del secolo, porterà i morti a essere il doppio dei nati.

Se le culle sono sempre più vuote è anche perché si continua ad alzare l’età della genitorialità: la media del parto è a 32.2 anni – con il primo figlio mediamente a 31.4 anni -, due in più rispetto al 1995. Nell’ultimo quarto di secolo, dunque, la fecondità si sposta verso età sempre più mature. Le donne italiane nella fascia 15-49 anni sono sempre di meno, con quelle nate tra la seconda metà degli anni ‘60 e la prima degli anni ‘70 che stanno uscendo dalla fase riproduttiva mentre le più giovani diminuiscono di numero. È l’effetto del baby bust del ventennio 1976-1995, quando la media di figli per donna arrivò a quota 1.19 (oggi siamo a 1.24).

L’immigrazione in passato ha aiutato a contenere il calo demografico, ma anche qui l’invecchiamento della popolazione residente rende i numeri peggiori anno dopo anno.

Per quello che invece riguarda i nomi, a guidare la classifica dei preferiti dagli italiani nel 2020 ci sono Leonardo e Sofia. Per i maschi al secondo posto si piazza Francesco e chiude il podio Alessandro; per le femmine l’argento va a Giulia e il bronzo ad Aurora. Sul punto l’Istat sostiene che i nomi per i bambini siano oltre 26mila e quelli per le bambine oltre 25mila, con i primi trenta in ordine di frequenza che coprono il 44% del totale per gli uomini e il 38% per le donne.