L’autenticità dell’esperienza appartiene all’opera di Elina Chauvet (Casas Grandes Chihuahua, Messico, 1959, vive e lavora a Mazatlán, Sinaloa), nota per aver portato nelle piazze di tutto il mondo il progetto Zapatos Rojos (scarpe rosse) sul femminicidio e la violenza di genere.
Grazie alla collaborazione con Ferro+, collettivo femminile del Teatro Tor Bella Monaca l’artista messicana è protagonista a Roma di una serie di incontri e dibattiti, in contemporanea con la mostra Memoria Colectiva (a cura di Monika Pirone MK), presentata per la prima volta in Italia da Officinenove (fino al 15 marzo). Come scrive nel suo testo Michela Becchis, «Elina dispiega davanti al nostro sguardo l’esperienza che lei fa della realtà più aspra, creando un visibile archivio che partendo dal suo corpo e da ciò che il suo corpo fa, obbliga noi osservatori a posizionarci senza possibilità di nascondimenti davanti alla brutalità del mondo».

Il ricamo, come la cucitura, rappresentano anche un modo per suturare le ferite della società?
Cucire le ferite della società significa anche suturare quelle della mia vita, il dolore per la morte di mia sorella, assassinata dal suo compagno.

Dal vissuto personale alla collettività…
Rendere pubblico il mio dolore invita la società ad esternare il proprio, condividendolo perché lo si possa curare reciprocamente.

Nel progetto «Justicia», lei si tagli i capelli a zero e annoda le ciocche con dei nastri rosa che recano i nomi di donne uccise. Eppure, in epoche passate, le ciocche di capelli intrecciati venivano inviate all’amato…
Tagliarmi i capelli è un’azione d’amore: mentre lo faccio pronuncio il nome di ciascuna ragazza. Quando moriamo i capelli sono l’ultima cosa che resta di noi. Molte delle ragazze assassinate nel deserto sono state identificate dalle madri proprio grazie alla loro chioma. Attraverso la mia azione cerco di trattare diversi significati e mantenere la persistenza della memoria.

Nel suo lavoro ricorre spesso la parola scritta, da «justicia» (giustizia) che si è fatta tatuare sul cuoio capelluto, a «confianza» (fiducia) ricamata con il filo rosso…
Per mia attitudine, trovo assai più facile scrivere che parlare, comunicare attraverso un’immagine, un’idea o con la forza delle parole scritte.

«Confianza» è il progetto che ha dedicato a Pippa Bacca (1974-2008), che con l’amica Silvia Moro è stata protagonista della performance «Brides on Tour». Vestite con l’abito nuziale bianco, le due artiste erano partite da Milano l’8 marzo 2008, dirette in autostop in Siria, Libano, Palestina e Israele. Si separarono nei dintorni di Istanbul e Pippa fu stuprata, strangolata e sotterrata dall’uomo che le aveva dato un passaggio…
È stata Francesca Guerisoli, la curatrice italiana del mio progetto Zapatos Rojos, a raccontarmi la storia di Pippa Bacca chiedendomi se anch’io fossi in pericolo. Pippa, infatti, è morta facendo arte e anche la mia opera è politica e scomoda, soprattutto in questo momento in Messico. Ho trovato che la vicenda di Pippa – la violenza sessuale, il femminicidio – avesse molte somiglianze con ciò che accade a numerose donne di Ciudad Juárez. Un tipo di violenza che non riconosce lo stato sociale. Mi è stato spiegato che Pippa Bacca viaggiava con la fiducia di poter fare tutto quello che aveva pianificato. Così mi sono chiesta cosa significasse per me la parola fiducia. Ho cominciato anche a chiederlo agli altri per realizzare quest’opera dedicata a lei, per non dimenticare. La memoria è molto importante. Così come voglio preservare il ricordo di mia sorella, devono essere presenti i ricordi delle altre donne. La prima performance l’ho realizzata a Bergamo nel 2013. In quell’occasione venne anche la madre di Pippa Bacca; in seguito, ho continuato in altri luoghi – proprio come il viaggio di Pippa – portando sempre con me l’abito da sposa e continuando a ricamare le frasi sulla fiducia che le persone mi scrivevano su Facebook. In molti mi confessavano che avrebbero voluto ricamare con me, accompagnarmi in questo viaggio. Così ho pensato di inviare delle tele con del filo rosso perché qualsiasi persona in Italia, Spagna, Argentina, Israele… potesse ricamare e rimandarmela indietro. Un atto di fiducia collettivo.