Cuba decide oggi il suo futuro. Circa otto milioni di cittadini sono convocati in un referendum per approvare la nuova Costituzione varata dopo un processo durato quasi un anno e che ha visto la massiccia partecipazione di milioni di cubani.

La decisione di modificare la Carta magna deriva dalla necessità di creare un nuovo testo fondamentale politico e giuridico che garantisca – con le parole di Raúl Castro – «il trasferimento alle nuove generazioni della missione di continuare la costruzione del socialismo, garantendo l’indipendenza e la sovranità nazionale» dell’isola.

Si tratta di una serie di riforme economico-sociali varate otto anni fa dall’ex presidente -e che in prospettiva devono essere completate da riforme politiche- per rivitalizzare il socialismo cubano («prospero, sostenibile e democratico») in una situazione internazionale difficile, se non ostile, e con una nuova generazione di leader che non hanno il carisma dei comandanti che guidarono la Rivoluzione alla vittoria nel 1959.

Il nuovo testo fondamentale è stato discusso in 133.000 riunioni effettuate in quartieri, scuole, posti di lavoro, caserme e nelle campagne dove sono stati proposte centinaia di migliaia di modifiche.
Il testo definitivo, approvato lo scorso dicembre dall’Assemblea nazionale del Poder popular (parlamento cubano unicamerale) stabilisce che «Cuba è uno Stato socialista di diritto e giustizia sociale, democratico, indipendente e sovrano». Viene confermato anche (art. 5) che il Partito comunista «unico,martiano,fidelista, marxista… è la forza politica dirigente superiore della società e dello Stato».

Come pure il controllo statale dei mass media. Rispetto alla precedente Costituzione (del 1976) il nuovo testo prevede un allargamento dei diritti individuali (tra l’altro «l’accesso all’informazione pubblica» e misure garantiste anche di genere); una serie di modifiche nella struttura statale (limite di cinque anni delle massime cariche, divisione dei poteri con la figura del Presidente della Repubblica e del primo ministro) vengono riconosciute diverse forme di proprietà dei mezzi di produzione (statale socialista, cooperativa e privata) e una serie di garanzie per gli investimenti stranieri.

In sostanza si tratta di una serie di misure il cui scopo principale è mettere le basi per modernizzare l’isola e far finalmente decollare l’economia liberandola (parzialmente) dell’inefficienza di una pervasiva e asfissiante burocrazia e con un’apertura (regolata) al mercato, alla proprietà privata e soprattutto agli investimenti esteri ritenuti «strategici». Il risultato è un testo di compromesso dovuto alla volontà e necessità (più volte ripetuta dal presidente Miguel Díaz-Canel) che la transizione verso una nuova generazione di leader deve svolgersi «nella continuità e non nella rottura» rispetto alla precedente.

Per questa ragione, secondo analisti cubani e non, la nuova Costituzione rischia di non soddisfare né la «vecchia guardia» nè i fautori di riforme che garantiscano tempi più veloci di ripresa economica e più spazio alla società civile. Inoltre, il processo in corso di riforme avviene in un panorama internazionale ostile, con l’amministrazione Trump decisa a «mettere fine al socialismo» in tutta l’America latina. E dunque a colpire, oltre che il Venezuela (soprattutto per le sue enormi risorse in greggio e metalli pregiati) anche e soprattutto Cuba, che delle aspirazioni a un «socialismo prospero, e democratico e sovrano» è l’epicentro continentale.

Per queste ragioni la campagna in favore dell’approvazione della nuova Costituzione è stata massiccia come mai in precedenza. Cartelli con «Io voto sì» hanno di fatto invaso la capitale e le maggiori città, esposti in autobus, vetrine di negozi e scaffali dei supermercati, manifesti. Spot in favore dell’approvazione si sono moltiplicati nelle varie reti della tv e della radio statali con la partecipazione di intellettuali, attori, musicisti e sportivi.

Ai movimenti di opposizione – seppur assai minoritari – non è stata invece permessa alcuna campagna e qualche decina di oppositori a cui è stata impedita ogni attività pubblica sono ricorsi allo sciopero della fame come protesta. Prudente è stato l’atteggiamento della Chiesa cattolica, mentre alcune chiese evangeliche, legate a Miami se non altro per i finanziamenti, si sono espressi contro una serie di aperture nell’ambito del diritto di famiglia e di libertà in tema di sessualità.

Di fatto dunque la battaglia per l’approvazione della nuova Costituzione è un referendum sulla continuità del socialismo come politica dell’isola. «Il no non rappresenta la volontà di mantenere la vecchia Costituzione ma la decisione di farla finita col governo socialista» sostiene il politologo Enrique López Oliva. Per questa ragione anche voci critiche – come quella del cantautore Silvio Rodriguez – si sono schiera senza mezzi termini a favore del «sì». Per quanto frutto di un compromesso la nuova Costituzione rappresenta la possibilità di continuare e accelerare il processo di riforme.