Sono Antonio D’Amato e Nino Di Matteo i vincitori delle elezioni suppletive per i due posti del Csm rimasti vacanti in seguito al «caso Palamara». Il risultato delle urne, diffuso ieri, ha premiato, rispettivamente, il candidato della destra di Magistratura indipendente (Mi) e il notissimo ex pm del processo sulla «trattativa Stato-Mafia», sponsorizzato da Autonomia e indipendenza, il gruppo di Piercamillo Davigo. Restano a bocca asciutta i centristi di Unicost e la sinistra di Area (di cui fa parte Md). Questa è la realtà, mentre la rappresentazione ufficiale che viene dalle correnti è che queste elezioni siano state solamente fra persone e non fra gruppi, in ossequio alla decisione delle stesse correnti – su spinta dell’Anm – di «fare un passo indietro» dopo lo scandalo venuto a galla la scorsa primavera. Una vicenda che ha portato alle dimissioni di ben cinque membri dell’organo di autogoverno delle toghe, variamente coinvolti nelle trame per pilotare nomine di vertici di procure «delicate» giocando di sponda con l’ex presidente Anm Luca Palamara (Unicost) e i deputati renziani Luca Lotti (rimasto nel Pd) e Cosimo Ferri (Italia Viva), quest’ultimo magistrato in aspettativa e leader indiscusso di Mi. Che è proprio il gruppo a cui appartiene il più votato nelle suppletive.

Non essendo ufficialmente in campo le correnti, questo turno elettorale ha visto la moltiplicazione di candidature: a competere erano in sedici per soli due posti. Per alcuni di loro «non aver mai fatto politica» è stato esibito come un motivo di vanto. Ma al di là della farsa all’insegna dell’uno-vale-uno, tutti sapevano che ad avere chance di successo erano le toghe che godevano dell’appoggio, reale anche se non esibito, di uno dei gruppi in cui si articola la vita associativa di giudici e pm. Alla gara «vera» partecipava anche il terzo classificato, Francesco De Falco di Unicost, mentre mancava all’appello il rappresentante della sinistra. Motivo? I candidati riconducibili ad Area erano quattro – Fabrizio Vanorio, Anna Canepa, Paola Cameran, Gabriele Mazzotta – più una quinta, l’indipendente milanese Tiziana Siciliano, sostenuta da molti esponenti di Area del suo distretto. Il napoletano Vanorio, figura di punta della sezione partenopea di Md, ha raccolto il maggior numero di consensi fra l’elettorato progressista: le sue 615 preferenze sono però molto lontane dalle 1184 ottenute da Di Matteo, il secondo eletto.

Se i voti andati alle quattro diverse «toghe rosse» (esclusa quindi l’indipendente Siciliano) fossero confluiti sulla stessa persona, racconteremmo forse un’altra storia: la somma è abbondantemente superiore ai 1460 conquistati da D’Amato di Mi. Ma la storia, tantomeno quella degli appuntamenti elettorali, non si fa con i «se». La realtà dice che a vincere non è la sinistra. «Mentre l’Anm continua a essere in crisi di rappresentanza, galoppano la magistratura populista e quella conservatrice», dichiara al manifesto il presidente di Md Riccardo De Vito. «Con la scelta delle pluri-candidature, su cui molti di noi avevano forti dubbi, e la rinuncia a coagulare il consenso attorno a un progetto risconoscibile, Area ha contribuito a far trionfare il populismo: la competizione si è trasformata in una gara fra singoli senza un’idea nuova per la magistratura, e di conseguenza si è aperta un’autostrada a quelli che hanno vinto, a cui comunque vanno i miei complimenti». Domenica Md riunisce il suo consiglio nazionale, che si preannuncia teso. Ulteriori suppletive a dicembre per coprire l’ultimo posto rimasto vacante.