Venezia, in questo periodo di inaugurazioni bulimiche – sono circa quattrocento gli eventi culturali – è anche una città che pullula di presenze eccentriche, che è costretta a fare i conti con il mondo che si estende al di fuori della Laguna. In questo caso, con altre acque ben più tragiche. Galleggia infatti in Canal Grande una strana barca ricoperta di giornali con notizie di naufragi di migranti. È Vik Muniz ad averla portata fra gli yacht lussuosi, sfidando gli stomaci dei vip con il solo nome della piccola nave: Lampedusa.

Artista brasiliano da sempre impegnato in progetti sociali – il suo documentario Waste Land girato nella discarica di Rio de Janeiro, dove costruiva opere in quel girone dell’inferno insieme all’umanità che ci vive, ha sfiorato l’Oscar – ha costruito la sua imbarcazione (delle dimensioni di un vaporetto di linea, è stata assemblata con l’aiuto degli artigiani del Polo Nautico Vento di Venezia) dopo il 2013 quando affogarono moltissimi uomini e donne in cerca di futuro.
Quest’anno, la catastrofe si è ripetuta. Così, quella che in origine era una suggestione, è divenuta una nave di salvataggio, una piattaforma per una missione di fundraising – con un’asta di beneficenza da Christie’s a Londra, in ottobre prossimo) per aiutare il Consiglio Italiano per i Rifugiati (Cir) a far fronte all’emergenza della crisi nel Mediterraneo. Navigherà, posizionandosi in luoghi visibili, ma non potrà trasportare passeggeri. Non sarà l’unica «interferenza» in Laguna: l’italo-albanese Helidou Xhixha piazzerà l’8 maggio un gigantesco iceberg di acciaio inox che poi si scomporrà, mimando lo scioglimento dei ghiacci per l’inquinamento. Infine, altro détournement, stavolta sulla terraferma e religioso. Nella chiesa di santa Maria della Misericordia, l’artista islandese Christoph Büchel sta per inaugurare una moschea, trasformando le architetture cristiane in un luogo di preghiera per musulmani. Un bel crossover spirituale e politico.