Un lungo racconto, tre quaderni in ordine sparso fatti di pensieri scritti di getto. Cancellature visibili e correzioni di parole cambiate all’ultimo. Non più «molto bella» ma «bellissima», riferito a Nina, una ragazza prima sognata e poi amata e poi gettata nel fiume come un brutto pensiero. Andare a fondo senza essere profondi. Le parole affiorano appena dall’acqua come sassi ignari.

È il diario di un femminicida, La raggia, il romanzo di Mattia Grigolo per Pidgin Edizioni (pp. 136, euro 14). L’autore, musicologo, giornalista e insegnante di scrittura creativa, si lancia qui in una operazione spiazzante: sparisce completamente dalla pagina. Lo fa attraverso una scrittura realista, calata nei fatti, perfettamente sintonica al protagonista che è anche la voce narrante.

L’AUTORE DEL LIBRO se ne va e ci lascia in cattiva compagnia, soli con il ragazzo rabbioso che vive ai margini del mondo. Povertà, solitudine e poi violenza, che scorre come il fiume che costeggia il bosco dove vivono il protagonista e suo padre. Buttati in una baracca tra silenzi e scariche di botte, senza mai davvero comunicare.

Ma lui, il ragazzo che scrive queste cupe pagine di diario, si innamora, pur essendo incapace di farlo. Ha come unico riferimento affettivo il ricordo sfuggente di una madre a un certo punto sparita.

È lei a cui pensa e a cui ogni tanto scrive, lontana e idealizzata come l’amore che manca. E tutta questa mancanza si riversa su Nina, una ragazza conosciuta in paese, il cui sorriso gli ricorda la madre. Il suo amore è corrisposto e lo conduce lontano dalla miseria e dalla violenza dei suoi giorni. Finché non arriva «la raggia», la rabbia, unica risposta conosciuta al dolore o alla paura.

Come nell’universo rovesciato de La Canzone di Marinella leggiamo, dal punto di vista dell’omicida, la malasorte di Nina che senza far rumore scivola nel fiume.

In questa favola cupa e senza tempo ambientata nel bosco, Grigolo riesce nel difficile esercizio di non dire niente su un tema così delicato e politico come il femminicidio. Ed è proprio nel suo non dire che sta il valore e l’originalità di questo testo. Le interpretazioni, le spiegazioni, persino la comprensione sono da ricercarsi altrove.

GRIGOLO CI CONSEGNA dei quaderni scritti senza colpa né perdono. Non c’è «il raptus», «il troppo amore» o «la folle gelosia» che spesso condiscono i racconti giornalistici dei casi di cronaca.

Non c’è il tentativo di far luce sulle radici culturali, patriarcali, di un atto del genere, che pure emergono tra le parole storte e acuminate con cui il protagonista descrive i suoi sentimenti per Nina. La raggia è un testo onesto, ben scritto, un tuffo nello scuro dove i ragionamenti non ci assistono.

E all’ultima pagina non resta che un silenzio a occhi aperti, come quello della volpe, presenza enigmatica che spesso compare nel racconto, che sta lì e «ti guarda come se ti sta parlando». E forse dentro quel silenzio è custodita tutta «la raggia» di Nina, la sua rabbia sepolta per sempre in fondo al fiume.