Una notizia dopo l’altra, con la seconda forse destinata a pesare più della prima. Si inizia con quel che è avvenuto l’altra notte: il crollo del valore della cryptomoneta più nota, il Bitcoin. Il suo valore, per tutta la giornata, l’ha portato a sfiorare il cambio a 30 mila dollari (anche se mentre scriviamo le quotazioni sono in leggera ripresa).

Solo due mesi fa, per capire, per un Bitcoin si dovevano versare 64 mila e 829 dollari. La seconda notizia (che accompagna e che, fatta filtrare da qualche giorno probabilmente è stata una concausa della prima) è la decisione di tre organismi finanziari cinesi: la National Internet Finance Association of China, la China Banking Association e la Payment and Clearing Association of China hanno vietato alle banche di operare con le criptovalute. Anche i singoli clienti delle banche cinesi non potranno scambiarle, comprare, né fare investimenti con le monete virtuali. Stop totale. Non si potrà fare neanche la pubblicità che riguarda le criptovalute.

Le ragioni del crollo, che comunque non riguarda solo il Bitcoin, visto che anche Ethereum e Dogecoin hanno praticamente dimezzato il loro valore? La sensazione di un po’ tutti gli osservatori è che a svuotare il peso delle monete abbiano contribuito – e contribuito molto – le ultime sortite di Elon Musk. Gli analisti più autorevoli spiegano anche che in realtà era già in corso una massiccia vendita di criptovalute ma è fuor di dubbio che il discusso boss di Tesla e Space X ci abbia messo un bel carico. Ed a pesare, ovviamente, è stato un tweet – lo strumento con cui fa i suoi annunci – di sette giorni fa. Quando, smentendo quel che aveva sostenuto fino ad allora, scrisse che le sue auto non si sarebbero più potute acquistare in criptovaluta. Adducendo motivi ambientalisti (per produrre un bitcoin, senza comprarlo, occorrono migliaia e migliaia di ore di computer superpotenti).

A tutto questo, l’altro giorno, si è aggiunto il misterioso stop tecnico a Coinbase, la piattaforma – quotata in borsa, le cui azioni sono anch’esse crollate di quasi la metà rispetto al picco di aprile – specializzata nell’exchange di criptovalute, dove è possibile – era, almeno fino a giovedì pomeriggioacquistare e vendere Bitcoin, Ethereum, Ripple e altre monete minori.

Così molti, tanti hanno provato a sbarazzarsi velocemente delle monete. Una vendita  che non sembra avere precedenti nella – pur breve – loro storia. A completare il quadro ci sono poi i commenti – alcuni dei commenti – che sembrano decisamente  allarmanti per gli investitori. Come quelli degli analisti di JP Morgan – citati da theregister.com – secondo i quali si potrebbe addirittura aprire una nuova fase, dove i bitcoin sarebbero messi da parte per tornare a puntare, nientemeno, che “sull’oro”.

C’è anche chi – Steen Jakobsen, per dirne uno, lo chef dell’ufficio investimenti della Saxo Bank –sostiene che le tante operazioni sui bitcoin sono dovute ad un “deleveraging diffuso”, alla necessità in questo momento post pandemico per le imprese di ridurre i debiti. Vendendo quel che hanno.

Fra le cause di questo terremoto, c’è però pure chi aggiunge “le scelte penalizzanti di alcune istituzioni, che erano attese”. Il riferimento, evidente, è alla Cina. Alla decisione di ieri delle autorità finanziarie di Pechino.

Decisione che a prima vista pare non abbia a che fare con un piccolo calo delle  azioni di gruppi, in qualche modo legati alla Cina che utilizzano il blockchain: la Shenzhen Forms Syntron Information Co., la Ygsoft Inc. e la Brilliance Technology Co. A Singapore sono in flessione ma appena del cinque per cento – come rivela il paniere monitorato da Bloomberg – contro il 34 per cento di calo delle “azioni crittografiche” – non è corretto ma chiamiamole così per capire – nel resto dei mercati mondiali.

Fatto sta che da ieri Pechino ha vietato qualsiasi operazione con le criptovalute. Di fatto, le ha messo al bando. Addirittura sarebbe vietato il “mining”, cioè l’estrazione telematica delle monete virtuali.

Non potranno più essere utilizzate come denaro. Forse meglio: le altre criptovalute, le criptovalute degli altri, non potranno essere utilizzate in Cina. Perché in realtà da tempo, Pechino sta lavorando alla propria moneta, allo yuan digitale. E si è già oltre le prime sperimentazioni.

Anche se questo yuan non può proprio essere esattamente definito una valuta  digitale, almeno di quelle che appartengono al novero delle reti blockchain. Perché la moneta cinese virtuale consente di tracciare le transazioni, non permetterà l’anonimato.

Sarà un’altra cosa. Ma Pechino ci punta. E forse è questa una delle ragioni che spiegano il divieto, il comunicato di ieri delle autorità finanziarie. Se è così lo si saprà solo nei prossimi mesi.