Per tutta la vita e l’opera Benedetto Croce tenne l’idea di letteratura ben distinta dalla poesia; anzi, dei rapporti e delle interferenze tra poesia e letteratura fece una domanda costante, alla ricerca di una risposta che, subito intuita e praticata, tardava però a potersi racchiudere in una risolutiva formula teorica. La poesia si poteva definire a partire dall’intuizione lirica; con la letteratura si trattava di faccenda tutt’altra. Un’avventura dello spirito che ora Giuseppe Galasso ripercorre nelle successive fasi di avvicinamento e di schiarimento, introducendo, dopo averlo costruito attingendo dall’ampio, imponente arco degli scritti crociani, Poeti e scrittori d’Italia I. Dallo Stil novo al Barocco (Adelphi «Biblioteca», pp. LVI-519, euro 34,00). Un secondo volume andrà fino al Novecento, sfiorando quelle che Dionisotti chiamava «le modeste casette della meridionale Letteratura della nuova Italia» sorte tutt’intorno al «nobile castello della meridionale Storia del De Sanctis» (l’aggettivazione dava conto del punto di vista dal contesto torinese e del pregio degli immobili presi in esame, non d’altro).
All’opera di Croce Galasso ha notoriamente dedicato cospicui studi: storico e conoscitore di idee, libri e vicende crociane, del suo impegno di studioso testimonia, ancora una volta, un sostanziale volume, che seleziona pagine finora sparse, curato e organizzato per punti cardinali (storiografia ed estetica; etica e politica; interessi eruditi e aperture europee; contesti biografici) da Emma Giammattei per l’Istituto italiano per gli Studi storici e posto sotto il bel titolo di La memoria, la vita, i valori. Itinerari crociani (il Mulino, pp. 551, euro 60,00). Tale lunga consuetudine, vigile nel giudizio – la miglior tempra di consuetudine –, prova che, se c’era da rimettere mano a un’opera di Croce, la mano di Galasso era quella giusta.
La costruzione di Poeti e scrittori d’Italia, pur nuova, ha avuto tuttavia i suoi precedenti e un antecedente di riferimento. Riottoso di fronte alla possibilità di una storia della letteratura (inimmaginabile quella della poesia), Croce aveva escogitato la possibilità di erigerla lasciando che si susseguissero capitoli monografici interferenti, in maniera convergente ma non sovrapponibile al modello che fu De Sanctis (differente, oltre tutto, almeno per il controverso rapporto crociano con la letteratura contemporanea). La possibilità, dunque, di servirsi dei saggi e degli studi di Croce per costruire una storia della letteratura era stata messa in pratica due volte. Nel 1927 erano usciti i due volumi di Poeti e scrittori d’Italia, per le cure di Giovanni Castellano e Floriano Del Secolo, che ebbero l’imprimatur di Croce; mentre tra il 1956 e il 1960, dopo la scomparsa del Filosofo napoletano, erano apparsi i quattro volumi di La letteratura italiana per saggi storicamente disposti, curata da Mario Sansone e sorvegliata da Alda Croce. Galasso, nel costruire i due volumi attuali, ha fatto riferimento all’opera di Castellano e Del Secolo, fornendo al lettore i motivi in una limpida introduzione: argomentando come Poeti e scrittori d’Italia, congedata da Croce, vada considerata voce ufficiale della sua bibliografia, allo stesso modo in cui lo sono sia la scelta di scritti sulle arti figurative, sia la famosa antologia che andò a inaugurare, al tramonto del passaggio sulla terra, la letteratura italiana dell’editore Ricciardi: il capitale Filosofia Poesia Storia. Pagine tratte da tutte le opere a cura dell’Autore. Non solo il concetto di storia letteraria fu mobile nel pensiero di Croce, ma, in quel «sommo atleta della cultura», come lo definì Contini, sempre viva fu la riflessione riguardo l’opportunità di antologizzarsi, esposta al rischio di manomettere un pensiero che nella continuità della riflessione non voleva evidenziare fratture o punti sospesi. Ma alla fine Croce si convinse che l’immensità dell’opera avesse bisogno di un vascello agile al quale affidare la sopravvivenza memoriale della grande nave.
Si è accennato che il concetto di letteratura fu da Croce reso operativo ancor prima di riuscire a definirlo con contorni sicuri: pragmaticamente, si direbbe, fin dal Croce più antico, nel quale l’esposizione dell’opera letteraria si stringe serratamente con la valutazione e il giudizio, che fanno la critica quale è. In quella sua prosa sempre così risolta eppure inquieta, Croce riusciva a prendere e lasciare una serie di delimitazioni che col tempo maturarono, non senza ripensamenti e precisazioni, prima di tutto a lui stesso: un lato non secondario del suo magistero. Il terzo momento, dopo esposizione e giudizio, gli parve da subito il più complesso: come far stare insieme storia e letteratura e, soprattutto, come delineare il campo dove porre la storia della letteratura. L’opera di poesia sta nella storia e insieme la trascende, al punto che storia non potrebbe farsene, stante lo iato tra «considerazione storica» e «giudizio estetico dell’opera d’arte»: e la saldatura dei due momenti non cessò di sembrargli a rischio di elisione, anche parziale, dell’uno o dell’altro. Di qui, ad esempio, la problematica relativa alla questione dei generi letterari, ammissibile in storia ma non in estetica (mentre una società di professori, presso Vallardi, praticava proprio la storia dei generi letterari); o la valutazione storica di opere irrilevanti sul piano estetico e considerevoli su quello storico. Così, anche una storia letteraria costituita da una galleria di monografie lasciava insoddisfatti se non permetteva di scorgere le intime relazioni tra quei momenti monografici (cosa che al De Sanctis era riuscita, ma con altra impostazione di partenza e in ben altro clima culturale). Diretta derivazione, nella successione delle estetiche crociane, la questione ben fraintesa – e quanto vilipesa da parte avversa, tanto abusata e svilita da parte consentanea –: la questione, ovviamente, di poesia e non poesia dentro l’opera.
Partito da De Sanctis, Croce si vide costretto ad andare, per necessità, oltre la sua lezione. Quel che in De Sanctis era la strutturazione stessa della storia letteraria, parve a Croce un tratto non del tutto schiarito, per quanto ammirevole; e in La poesia (1936), scrisse: «se la poesia è la lingua materna del genere umano, la letteratura è la sua istitutrice nella civiltà». Perciò della letteratura si può fare storia, ma non della poesia. E dove vanno a finire quelle opere grandi che della letteratura (secondo la definizione comune) sono la sostanza? Come trattarne? Come sentirle secondo la storia, se di esse storia non si può fare? In La poesia aveva avvertito: «mi sono accorto, da tanto tempo che studio poesia e letteratura e adopero quella distinzione, di non aver mai fatto risoluzione di andarvi a fondo». Il libro del 1936 a quello doveva servire; ma ancora nel 1947 Croce titolò una conferenza La poesia, opera di verità; la letteratura, opera di civiltà. Intorno alla poesia si può esercitare analisi, scrutarne la genesi in maniera erudita, giudicare: ciò è l’unica forma possibile di una altrimenti impensabile «storia della poesia». E la sua storicità è particolarissima, ha origine e fine nell’opera stessa.
Intorno ai rapporti tra poesia e letteratura, in breve, Croce lasciò sempre il pensiero in corso, né smise di darne rendiconto: la qualità dei problemi che Croce ha posto sopravanza talvolta le stesse soluzioni, giacché la soluzione sta nella qualità stessa dell’impostazione. E forse la necessità di distinguere in cui consiste la critica non si dice abbia sfiorato, in lui, l’ansia di distinguere, ma si è mostrata via via come un rebus che è il marchio tipico del suo lavoro: l’avvicinamento a una verità sentita che non si raggiunge mai, che si sa esserci e che sembra giocare con le facoltà dell’uomo da cui è fatta e di cui è fatta. Un’operosità quotidiana e dinamica, assediata da miriadi di cautele che, a ben guardare, sono forme di distinzione. Perfino nel nome della sua celebre collana di classici stava solo la parola scrittori, non poeti: «Scrittori d’Italia», e senza apparati, perché la poesia poteva o doveva nascere dal contatto con le pagine, che altrimenti erano solo libri, documenti, letteratura. Si può immaginare che il rapporto sia simile a quello tra partitura ed esecuzione: dov’è la musica? Che cosa chiamiamo musica?
Nel riproporre oggi lo schema della Storia del 1927, Galasso ha tenuto presente l’intero svolgimento del pensiero crociano; e ciò giustifica i momenti (segnalati) in cui da quello schema ci si distacca; ma proprio per questo, il libro nuovo ha a che fare con quello antico al modo in cui un paesaggio visto prima e dopo un viaggio si vede in un altro modo, per l’incremento, in qualità e quantità, delle conoscenze intercorse. E infine dice che, forse, non era l’idea di poesia a rendere impossibile una storia della letteratura: a Croce tale storia non parve praticabile per difesa della sua stessa idea di poesia. Sarebbe stato come intaccare il valore della bellezza, anzi la bellezza in sé.