Non si sblocca, per ora, il contenzioso che oppone l’Argentina di Cristina Fernandez de Kirchner agli «avvoltoi»: ovvero a quel 7% di fondi speculativi – Nml Capital e Aurelius Management più altri 13 – che non ha accettato di negoziare il debito ereditato dalla grave crisi del 2001-2002 e dal conseguente default. Il grosso dei creditori (92,4%) che ha accettato di trattare sta per ricevere una rata di pagamenti a fine giugno nelle banche di New York. C’è però il rischio che un giudice sequestri il montante per sanare la richiesta degli «avvoltoi» Usa. I fondi speculativi si sono infatti rivolti ai tribunali per esigere il 100% del valore nominale dei bond, pur acquistati a basso prezzo. Pretendono 1,4 miliardi di dollari. Il giudice Thomas Griesa ha dato loro ragione.

Il governo argentino ha presentato ricorso alla Corte suprema Usa, ma senza successo, e la sentenza di Griesa dev’essere eseguita. Cristina de Kirchner ha dichiarato che non accetterà «estorsioni» e ha annunciato di voler onorare il pagamento previsto non a New York ma a Buenos Aires. Griesa ha però ribattuto che «la repubblica Argentina non può violare le procedure e le decisioni del tribunale». Intanto, movimenti e partiti politici argentini hanno manifestato davanti all’ambasciata Usa per sostenere le ragioni della presidente contro i fondi avvoltoi.

Cristina ha ottenuto l’appoggio dei governi progressisti dell’America latina. Il presidente dell’Uruguay, Pepe Mujica, ha espresso «forti preoccupazioni» e ha chiesto una discussione comune all’interno del Mercosur, il blocco commerciale formato da Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Venezuela. La presidente argentina ha comunque ribadito la sua disponibilità a negoziare anche l’altra parte del debito con i fondi avvoltoi, ma «a condizioni giuste che consentano un accordo vantaggioso su basi ugualitarie». Nei giorni scorsi aveva promesso: «Non ci sarà un altro default».