Nei novanta il rock ruvido dei Marlene Kuntz che citava tanto i Sonic Youth e i C.S.I., ha rappresentato un lungo momento di ricerca e sintesi della scena indie, senza scendere mai a compromessi. Anche negli anni di militanza nel roaster di una major o durante l’apparizione sul palco sanremese nel 2012 con tanto di ospite d’eccezione: Patti Smith, il profilo si è mantenuto alto.

CRISTIANO GODANO del gruppo di Cuneo è voce e chitarra, nonché anima trascinante con un brevissimo trascorso cinematografico (Tutta colpa di Giuda di Davide Ferrario, 1989) e anche ora che ha deciso di lanciarsi nel suo primo progetto solista dal titolo Mi ero perso il cuore (Ala Bianca, in uscita oggi), sceglie regole tutte sue. Intanto le tredici canzoni del disco seguono un lessico lontano dal rock: sono ballate intime che a tratti indugiano sul blues, più spesso ondeggiano verso sonorità country. «Questo album – spiega Godano – è una collezione di canzoni che racconta (e dove può cerca di affrontare per combatterli) i demoni della mente». Ovvero il coraggio della paura: «Ho iniziato a strimpellare le canzoni per conto mio tre o forse quattro anni fa, e sapevo già che non le avrei portate ai Marlene. Avevo cinquanta sessanta spunti abbastanza avviati, poi quando si è trattato di preparare il disco ho coinvolto senza neanche troppa fatica Gianni Maroccolo, che era molto felice della mia decisione di intraprendere questa avventura».

Liriche dure, personali, che scavano nel dramma della depressione: «Vero, questa volta non ho cercato di distaccarmi come faccio con la band. Sono parole dirette che lasciano trasparire una assenza di filtro». Introspezione e canto quasi sommesso, lontano dalle esplosioni dei primi Marlene, quasi mettersi a nudo davanti a chi ascolta: «È un concetto che mi affascina come quello del coraggio e della paura, riletto con un linguaggio poetico. Non è che io mi sento sempre fragile o debole, dietro le parole c’è però sempre una persona con le sue vulnerabilità».

«PADRE E FIGLIO» e Figlio e padre – in sequenza – sono tra le punte più alte della raccolta. Nel primo un padre e un figlio hanno un diverbio acceso, nel secondo un giovane evoca la figura paterna. Panico esce invece dalle quiete atmosfere e riflette un afflato rock, dove Godano si lancia in un reading e il sax di Enrico Gabrielli è nervoso, metallico con citazioni free jazz: «È nato come gli altri, chitarra acustica e voce e l’unica cosa certa era il fatto che avevo in mente una sorta di reading – il vero elemento di rottura rispetto agli altri pezzi, dove invece il cantato insegue una linea melodica ben precisa. «Al di là di quello non pensavo che il pezzo avrebbe preso questa piega molto rock, è accaduto in studio e mi ha allietato notevolmente. Sentendo poi come stava venendo, ho chiesto a Gabrielli se gli andava di mettere un sax che evocasse il free jazz e il genio di Albert Tyler».

Il segreto del buon esito di un disco, sta anche nella scelta dei musicisti: Gianni Maroccolo e Luca Rossi (ex Üstmamò) conferiscono un tratto essenziale all’esecuzione dei brani: «Con Gianni il sodalizio dura da 25 anni, sono tanti. Quindi ci conosciamo bene, lavorare con lui è sentirsi in un porto sicuro. Ed è lui che mi ha suggerito il nome di Rossi per la produzione. Luca ha messo nel disco delle chitarre filologicamente perfette e anche di gran gusto: il fraseggio in Ciò che sarò io è una delle cose più belle che ho sentito. Ogni volta che arriva mi si apre il cuore».

LA PANDEMIA ha messo in ginocchio il settore spettacolo in particolare il comparto della musica, ma la crisi incombeva da tempo: «Sono anni che cerco di raccontare alla gente in maniera molto diretta come stanno le cose. Io penso che la musica sia in difficoltà da quando è arrivato internet, lo streaming non ripaga dal lavoro prodotto. E poi c’è sempre questa idea per cui gli artisti vengono percepiti come dei perditempo. La frase di Conte non mi ha sorpreso perché è vox populi. Ma è ben lontana dal discorso fatto da Merkel che con circostanziate parole ha spiegato come il governo avesse a cuore il destino degli artisti, non li ha considerati dei guitti che fanno divertire il popolo».