Febbraio 2020, Teatro Ariosto di Reggio Emilia. Una delle prime tappe di Another round for five di Cristiana Morganti. L’ultimo spettacolo di danza visto prima del lockdown di un anno fa. È passato molto tempo: mai si sarebbe pensato quella sera che il teatro dal vivo si sarebbe fermato di lì a poco e così a lungo. I saluti nel foyer, le chiacchiere prima di ripartire in auto, l’ascolto un po’ attoniti alla radio delle notizie da Codogno. Ognuno in questa pandemia ha nella memoria il suo punto d’inizio. L’intervista con Morganti riparte da lì. Incontro digitale da Wuppertal, dove la danzatrice e coreografa di titoli di successo internazionale come Moving with Pina, Jessica and Me, A Fury tale, vive con la sua famiglia, complice un passato importante nel Wuppertal Tanztheater di Pina Bausch, con cui l’autrice ancora collabora.

Cristiana, torniamo al febbraio di un anno fa.

Anch’io ho in mente in modo molto chiaro quella serata, con tanti amici, ospiti, tutti insieme a fine spettacolo in una pizzeria pienissima, sedie infilate in più, qui e là tra i tavoli, eravamo lì per festeggiare. Era l’ultima tappa di una tournée iniziata a dicembre 2019, ci saremmo rivisti in autunno per alcune date in Francia e invece… Nel primo lockdown ho continuato a lavorare, ma poi le date di novembre e dicembre 2020 sono state cancellate, così come il tour che doveva esserci in Italia tra febbraio e marzo di quest’anno. Nel frattempo due dei cinque interpreti hanno deciso di lasciare, una perché è entrata nel Wuppertal Tanztheater, un’altra ha deciso di smettere di danzare, non è l’unica artista ad avere preso delle scelte di vita radicali di questi tempi. Lo spettacolo era nato intorno a loro cinque, tanti i problemi per organizzare riallestimento, nuove audizioni, prove. Avevo voluto danzatori che venissero tutti da paesi diversi, mi piaceva il pensiero di un’Europa che andava oltre i confini, un’idea rivelatasi disastrosa durante la pandemia. Speriamo di riprendere lo spettacolo nella primavera del 2022, due anni dopo l’ultima data.

In Germania come hanno funzionato gli aiuti alla creazione in questo periodo?

Non ci sono sussidi automatici. Come autore partecipi a dei bandi, scrivi progetti che possono anche essere di ricerca, non solo di spettacolo, progetti di digitalizzazione, la produzione di un film. Certo ci sono categorie, non artistiche, che per la situazione pandemica hanno ricevuto aiuti diretti, noi attori, danzatori, coreografi siamo messi in competizione gli uni con altri, non è il massimo.

Interesse per l’alternativa del digitale?

Di impulso la mia reazione è di rifiuto. Ho lavorato a un bando per il finanziamento di un progetto qui in Germania che ho intitolato Riconquistare l’analogico attraverso il digitale (ride, ndr.). Mi sento vicina a quelle tribù che vedono la fotografia come un mezzo che ti toglie l’anima. In questo periodo mi sono chiesta più volte da dove venga la mia resistenza. Senz’altro i tanti anni con Pina, dove tutto era così segreto, hanno contribuito. Nella prassi del lavoro il processo creativo era molto protetto, vivevamo momenti toccanti, solo nostri, che ci accompagnavano durante lo spettacolo. Tuttavia che peccato se oggi non esistesse nulla a documentare il lavoro di Pina. È un conflitto che va affrontato. Personalmente ho visto vari streaming in questo periodo, molti li ho trovati deludenti. Mi manca l’adrenalina del teatro dal vivo, il pubblico che sente l’energia dei danzatori, chi è in scena che reagisce ai silenzi sospesi, alle risate degli spettatori. Difficile rendere la relazione che il danzatore ha con lo spazio. Ci sono artisti, coreografi, come Wim Vandekeybus, come i DV8, che hanno realizzato film meravigliosi, con movimenti di camera inediti, così è interessante, ma pochi se lo possono permettere.

Insieme a Kenji Takagi, anch’egli ex danzatore di Pina, e con vostro figlio, continuate a vivere a Wuppertal. Quale è il vostro rapporto con il Tanztheater o la Fondazione Bausch?

Kenji è direttore delle prove della Sagra della primavera, sia con il Tanztheater sia per riprese con altre compagnie o per progetti particolari come La Sagra realizzata sulla sabbia con danzatori africani sotto la guida di Germaine Acogny. Era previsto un allestimento con l’Opera Ballet Vlaanderen diretto da Sidi Larbi Cherkaoui, bloccato dal Covid, speriamo il progetto venga ripreso il prossimo autunno. Con il Wuppertal Tanztheater la mia collaborazione si è naturalmente affievolita negli anni, i miei ruoli sono interpretati dai giovani di oggi. Sarei però dovuta andare in primavera a New York con la compagnia per dodici repliche di Aqua. Una ripresa con il cast originale, un progetto magnifico purtroppo saltato. Sono sempre in rapporto con la Fondazione Bausch che sta lavorando all’apertura dell’International Dance Centre Pina Bausch, un grande progetto dove ci sarà anche un teatro per la compagnia e per artisti ospiti. La Fondazione sostiene anche il mio Moving with Pina. Con Kenji stiamo anche lavorando a una nostra performance site specific indipendente su invito del Museo dell’Orangerie di Parigi, sarà a settembre nella bellissima sala ellittica delle ninfee di Monet.

Nuove tappe per «Moving with Pina»?

Sì, il 14 luglio sarà al Grande di Brescia, tra ottobre e novembre in tournée in Umbria. Negli ultimi tempi, prima della pandemia, l’ho fatto oltre che in italiano, in francese e in tedesco. Un lavoro enorme, pagine e pagine di testo. Ora me lo hanno chiesto in Russia: andrò a Mosca e San Pietroburgo tra fine agosto e inizio settembre. Volevano una persona che di fianco a me traducesse in russo le mie parole, impossibile! Li ho convinti: ci sarà la sovratitolazione in cirillico. Un’avventura.

Henry Bergson: «Non potremmo apprezzare il comico se ci sentissimo isolati. Sembra che il riso abbia bisogno di un’eco». Può resistere il comico, così potente nei suoi lavori, senza il pubblico dal vivo?

Istintivamente direi che è difficile, tuttavia ci sono molti film, penso a Charlie Chaplin, in cui non c’è bisogno di stare dal vivo per essere comici. Certo per me la comicità vive dell’equilibrio tra la precisione dei ritmi e la totale possibilità di reagire in modo spontaneo al pubblico. È una caratteristica preziosa, che adoro e che dà agli spettatori la sensazione netta di assistere a qualcosa che può avvenire solo in quel momento. È l’essenza del teatro dal vivo, insostituibile.

Danza A Viva Voce – Incontro con Cristiana Morganti – a cura di Francesca Pedroni from il manifesto on Vimeo.