Premiando Doudna e Charpentier per la scoperta di Crispr, il comitato Nobel è intervenuto in una materia incandescente. Da tempo è in corso una durissima battaglia legale tra le scienziate e altri due ricercatori, i «bostoniani» Feng Zhang (Broad Institute) e George Church (Harvard University), su chi possa considerarsi l’inventore della modifica genetica. L’ufficio brevetti statunitense finora ha dato ragione a Zhang e Church: sono loro che nel 2013 hanno intuito per primi come applicare nelle cellule di piante, animali e esseri umani il meccanismo Crispr scoperto da Doudna e Charpentier l’anno precedente.

LA SCELTA del premio Nobel sembra dunque un risarcimento da parte della comunità scientifica alle ricercatrici «scippate» del brevetto. E potrebbe persino influenzare l’esito del duello legale ancora in corso. La posta in gioco è elevatissima: lo sfruttamento commerciale delle innumerevoli applicazioni scientifiche, farmaceutiche e agroalimentari della tecnica Crispr.

Non è l’unica ragione per apprezzare l’audacia del comitato. Per volontà dello stesso Nobel, il premio va a chi si è reso responsabile con scoperte o opere dell’ingegno «del massimo beneficio per l’umanità». La tecnica Crispr, dati i potenziali usi a scopo terapeutico, rientra certamente in questa categoria. Le sperimentazioni nella cura di malattie genetiche fino a ieri incurabili – per esempio la distrofia muscolare – sono già in corso.

Ma finora la tecnica ha fatto parlare di sé anche per utilizzi discutibili, come la modifica genetica degli embrioni. Usare il metodo Crispr per modificare un essere umano nella fase embrionale è attualmente vietatissimo: non è ancora escluso del tutto il rischio di generare mutazioni dannose nel Dna. La facilità e il basso costo della tecnica Crispr, però, rende difficile controllare cosa succeda davvero nei laboratori.

Nel novembre del 2018, lo scienziato cinese He Jiangkui ha annunciato di aver fatto nascere due gemelle geneticamente modificate. Usando il metodo messo a punto da Doudna e Charpentier, He aveva alterato il genoma degli embrioni introducendo una mutazione che rende le cellule parzialmente immuni dall’Hiv, un virus che le bambine avrebbero rischiato di ereditare da un genitore sieropositivo. Le condizioni di salute delle bambine non sono mai state rese note ed è impossibile scoprire cosa abbia fatto davvero Jiangkui He al loro Dna – in passato, altri annunci analoghi si erano rivelati falsi.

LA VICENDA, conclusa da una corte di Shenzhen con una condanna a tre anni di reclusione per He, mise in evidenza i rischi connessi a una tecnologia così potente e accessibile. Ma mostrò anche che Jiangkui He non agì isolato e che diversi ricercatori, anche negli Usa, erano al corrente dei suoi esperimenti e ne approvavano gli scopi. «La sua colpa più grave è non aver compilato bene tutti i moduli», minimizzò Church, commentando le autorizzazioni mancanti a He.

Per scongiurare rischi del genere, gli scienziati si incontrano regolarmente per aggiornare le loro linee guida alla ricerca del miglior compromesso tra libertà di ricerca a scopo terapeutico e il rischio dell’eugenetica. Il primo Summit internazionale sulle modifiche genetiche fu organizzato nel 2015 proprio da Jennifer Doudna, da sempre attenta alle ricadute sociali della tecnologia da lei scoperta. Pochi, però, avrebbero scommesso in un riconoscimento per un filone di ricerca dalle implicazioni bioetiche ancora da esplorare e difficilmente governabile.