Il 2021 ha già dimostrato di essere un anno «caldo» per l’Italia. Il riferimento non è solo al record europeo dei 48,8 gradi raggiunto quest’estate in Sicilia, ma anche alla fitta agenda internazionale che vede protagonista il nostro Paese sui temi della transizione ecologica e della crisi climatica. Con la presidenza del G20, l’Italia ha già ospitato il summit su ambiente, clima ed energia, tenutosi a Napoli nel luglio scorso, risultato di fatto in un buco nell’acqua. C’è poi la vicepresidenza della Conferenza delle parti sul clima (Cop26), con la Cop Giovani e la Conferenza preparatoria tra fine settembre e ottobre a Milano, in vista di quella di Glasgow di novembre, la cui riuscita passa dall’atto conclusivo del G20, che si terrà a Roma a fine ottobre.

PROPRIO PER QUESTE RAGIONI, NELLA GIORNATA di lunedì ReCommon ha organizzato a Milano, presso la Cascina Cuccagna, un evento pubblico dal titolo «Da Parigi a Glasgow. La finanza è sulla buona strada per il clima?», un’opportunità per ascoltare gli impegni per l’ambiente e il clima da parte di alcune istituzioni finanziarie e le testimonianze di rappresentanti della società civile italiana e internazionale, che hanno raccontato il proprio lavoro di pressione nei confronti dell’industria dei combustibili fossili e della finanza.

LA FINANZA PRIVATA, CIOE’ L’INSIEME di banche, compagnie assicurative, fondi di investimento e fondi pensione, determina i flussi e la redistribuzione dei capitali. Con asset pari a circa 94 mila miliardi di dollari, le cento più grandi banche del mondo hanno la capacità di influenzare l’organizzazione delle nostre economie. È stata la finanza privata a gettare le basi per l’emergere dell’economia del petrolio decenni addietro, e ora ci sta spingendo verso l’economia del gas, combustibile fossile presentato come «necessario» alla transizione verso le energie rinnovabili.

DALL’ACCORDO DI PARIGI AD OGGI, il supporto finanziario concesso al settore dei combustibili fossili non è affatto diminuito, a partire dal più inquinante tra questi, ovvero il carbone. Non è da meno il comparto del petrolio e del gas, responsabile del 55% delle emissioni globali di CO2 del settore energetico: 3.800 miliardi di dollari stanziati dalle principali banche mondiali solo negli ultimi cinque anni.

LA PRIMA PARTE DELL’INCONTRO DI MILANO ha visto confrontarsi alcune istituzioni finanziarie italiane e internazionali, su cui spiccano la francese Amundi e UniCredit, secondo gruppo bancario italiano dietro Intesa Sanpaolo. Nonostante una posizione sul settore del carbone riconosciuta come tra le più avanzate a livello internazionale, gli impegni relativi al comparto oil&gas, presi da UniCredit a novembre 2019, risultano ancora deboli. Tra il 2016 e il 2020, la banca di Piazza Gae Aulenti ha concesso infatti 5 miliardi di euro alle principali società impegnate nell’esplorazione e nella produzione di petrolio e gas proveniente da nuovi giacimenti.

A SORPRESA, PROPRIO SUL TEMA E’ INTERVENUTA a maggio anche l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), secondo cui è finito il tempo di finanziare nuove esplorazioni e produzione di combustibili fossili. Una presa di posizione inaspettata, alla luce del fatto che l’Aie è stata spesso vicina alle posizioni dell’industria fossile.

ROBERTA MARRACINO, RESPONSABILE della strategia Environment, Social and Governance (Esg) di UniCredit, ha affermato che rapidità e fermezza è ciò che ci si aspetta dalle istituzioni finanziarie in materia di ambiente e clima. Inoltre, la banca è in procinto di pubblicare la nuova strategia Esg del gruppo, all’interno della quale saranno contenuti criteri di esclusione più stringenti per i finanziamenti al settore dei combustibili fossili.

TUTTAVIA, COME HA FATTO NOTARE LUCA IACOBONI, responsabile Clima ed Energia di Greenpeace – Italia, il fattore temporale è cruciale: troppi anni sono stati buttati senza riconoscere l’impellenza della questione climatica, soprattutto in Italia. Una tendenza che, partendo da un vero e proprio negazionismo climatico a un più appetibile greenwashing, ha creato un contesto favorevole alle affermazioni del ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani il quale ha posto l’accento sul rincaro delle bollette a causa dell’aumento del prezzo della CO2 prodotta ma conferendo poco rilevo al prezzo del gas fossile, fattore determinate all’impennata.

LUCIE PINSON, DIRETTRICE DELLA ONG FRANCESE Reclaim Finance e vincitrice del Goldman Prize 2020, ha affermato senza esitazione di non aspettarsi chissà quali impegni sul clima da parte degli Stati in vista della COP26, idem per il mondo della finanza, soprattutto per quanto riguarda l’esclusione di nuove operazioni di esplorazione e produzione di combustibili fossili, ed il loro conseguente finanziamento.

UNA COSA E’ CERTA, BEN EMERSA DURANTE l’incontro. Gli attori della società civile continueranno a sollecitare le istituzioni finanziare a fare la propria parte ed aumentare il livello di ambizione. Nel caso italiano, occhi ben puntati sui «campioni» della finanza nostrana, privata e pubblica. Tra i tanti, due in particolare citati più volte nel corso dell’evento: Intesa Sanpaolo, gruppo bancario italiano che maggiormente intrattiene legami con l’industria fossile, e Sace, agenzia pubblica di credito all’esportazione che funge da garante a tutti i progetti di petrolio e gas in cui sono coinvolti le società italiane.

* ReCommon