Ora pensiamo ad aumentare la produzione, all’ambiente penseremo dopo. La risposta dell’Eu alla dipendenza da fertilizzanti e derrate provenienti da Ucraina, Russia e Bielorussia che hanno fatto impennare i costi per gli agricoltori (+300% per il nitrato di ammonio) e aumentare i prezzi alimentari (+5,6% rispetto a febbraio 2021) è: coltiviamo con metodi convenzionali anche nelle aree di interesse ecologico e sui terreni lasciati a riposo, in deroga al cosiddetto greening della Pac, cioè la diversificazione delle colture, il mantenimento di prati permanenti e la riserva del 5% dei seminativi a zone boschive, siepi, stagni, strisce erbose che servono a tutelare la biodiversità nei campi, pratiche per cui gli agricoltori vengono remunerati. La deroga viene concessa per il 2022.

«QUANTO MENO ci saremmo aspettati che tale decisione fosse vincolata all’utilizzo del metodo biologico, in linea con il Green Deal e le strategie Ue. L’Italia potrebbe scegliere questa strada e diventare punto di riferimento anche per gli altri Paesi Ue» è la reazione di Maria Grazia Mammuccini, presidente FederBio. Invece di accelerare sulle misure per salvaguardare l’agro-biodiversità, la fertilità dei suoli, diminuire il consumo di acqua e sostenere le pratiche che possono alleviare la dipendenza dai fertilizzanti, da Bruxelles arriva l’ordine di produrre, produrre, produrre.

«AUMENTARE LA PRODUZIONE è un vecchio slogan del ‘900 che non funziona più. Non è pensabile proiettare un approccio industriale alla complessità del sistema agricolo dove i tempi sono diversi e più lunghi – commenta Stefano Bocchi, ordinario di Agronomia all’Università Statale di Milano e presidente dell’Associazione italiana di agroecologia – Chi come noi studia i sistemi agroalimentari e propone alternative al modello agro-industriale avverte da anni che la sicurezza alimentare è a rischio per l’estrema dipendenza da input esterni, basta leggere gli ultimi rapporti della Fao. Prima di mettere a coltura i terreni a riposo ed erodere le superfici dedicate al greening, già diluito dal Piano strategico nazionale della PAC che lo considera troppo ecologista, bisognerebbe rivedere i piani colturali e cercare coltivazioni alternative al mais, che ha bisogno di molta acqua e molti trattamenti, a favore, per esempio, del sorgo, che cresce con meno acqua e trattamenti. E fermare il consumo di suolo agricolo: se vogliamo essere davvero coerenti dobbiamo proteggere il suolo e la sua sostanza organica per garantirci raccolti nel futuro».

GLI AGRICOLTORI BIOLOGICI, che non utilizzano concimi di sintesi e tendono a produrre in azienda mangimi, semi e altri fattori di produzione, sono i meno esposti a questa crisi. Lo conferma Alessandra Pesce, direttrice del Centro politiche e bioeconomia del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura), che ha messo a punto uno studio che documenta l’impatto economico della guerra sui conti delle aziende agricole. «Stiamo valutando in questi giorni gli effetti sulle aziende biologiche, ci aspettiamo che l’impatto sia meno rilevante – afferma Pesce – così come per tutte quelle aziende che adottano sistemi di economia circolare e chiudono il ciclo produttivo in azienda, riutilizzando input e risorse energetiche proprie. Quanto al greening, non si deve arretrare, non vanno messi in discussione gli obiettivi di sostenibilità perché il rischio è di trovarci tra qualche anno in un’altra emergenza. Le buone pratiche agricole esistono, vanno rafforzate, e quello che serve è agevolare l’accesso delle aziende all’innovazione e ai sistemi di agricoltura di precisione».

A CHI ACCUSA IL METODO BIOLOGICO di non essere adeguato in questo frangente perché meno produttivo rispetto al convenzionale, Bocchi risponde che con un opportuno supporto della ricerca di metodi e varietà più idonee «il delta produttivo diminuisce e in alcuni casi si può colmare, come abbiamo dimostrato in una zona come la Lomellina dove 20 aziende produttrici di riso affiancate da regioni, università e centri di ricerca hanno visto aumentare le rese e ridurre gli impatti delle loro produzioni». Ricorda Bocchi che anche in ambito Fao c’è una discussione aperta sul rivedere le metriche con le quali valutare la produttività delle aziende agricole: invece di limitarsi a misurare sempre e solo la tonnellata per ettaro, c’è chi propone di calcolare piuttosto le proteine, i micro-nutrienti e altri parametri nutritivi.

COSA PUO’ FARE L’ITALIA RISPETTO alle indicazioni di Bruxelles? «L’Italia ha tutta la sovranità per evitarle – osserva Matteo Metta, ricercatore all’Università di Pisa e per ARC2020.eu – In primis, potrebbe bandire l’uso di fertilizzanti e pesticidi chimici in queste aree e stilare linee guida per coltivare specie arboree o erbacee che apportano benefici produttivi ed ecologici, anziché lasciare questa scelta a logiche di mercato. Inoltre, l’Italia potrebbe orientare la produzione dei seminativi verso la sicurezza alimentare umana, piuttosto che l’allevamento intensivo basato su mais e soia. I prodotti agroalimentari, specie le proteine, sono una risorsa scarsa e bisogna riconoscere che c’è una tensione tra mangime animale, cibo umano e bioenergie. Purtroppo, gli allevamenti intensivi italiani non hanno un’autonomia proteica e usare questa deroga per produrre mais e soia sarebbe mettere una pezza a questa insufficienza, oltre che inasprire gli effetti del rincaro alimentare».

GREENPEACE PER RISPONDERE all’emergenza propone infatti di ridurre il numero di animali allevati in modo intensivo «per liberare cereali sufficienti a compensare il deficit di grano, e diminuire la dipendenza dell’Ue da fertilizzanti sintetici sempre più costosi e inquinanti». Per Wwf e Lipu bisognerebbe almeno escludere i siti Natura 2000 dalle deroghe. Anche un grande esperto di agricoltura come Jan Douwe van der Ploeg, professore emerito di sociologia rurale all’università Wageningen e associato alla China Agricultural University di Pechino, sostiene che non c’è bisogno di aumentare la produzione in Europa per fare fronte alla crisi attuale.

«SEMMAI SERVE RI-ORIENTARE la produzione per rispondere meglio alle esigenze della popolazione europea e ridurre l’agro-export – spiega van der Ploeg – Questo deve essere fatto in maniera pianificata e coordinata per non provocare tensioni o carenze nei paesi del Sud globale. Ma ci sono ampi spazi di manovra per questo tipo di riduzioni. Non dimentichiamo che da molti anni i paesi dell’Africa occidentale chiedono di ridurre il dumping di prodotti vegetali e animali dall’Ue che si è rivelato estremamente penalizzante i loro agricoltori».

RIMANE IL SOSPETTO CHE LA GUERRA sia stata colta dalle lobby dell’agro-industria come un pretesto per continuare business as usual. Per l’Associazione Rurale Italiana, con il provvedimento Ue «si annullano le poche buone conquiste ambientali e sociali della nuova Pac e delle strategie europee. Come già sperimentato durante la pandemia, si presenta una nuova opportunità per mettere da parte i contadini e fare strada a multinazionali, Ogm, fertilizzanti, digitalizzazione, intensificazione ed estensificazione della produzione. Ancora una volta, ci rendiamo conto che per sicurezza alimentare si intende la riproduzione del sistema alimentare industriale con il sostegno del denaro pubblico».