Pochi minuti e se ne va. Vito Crimi apre in diretta Facebook la «seconda fase» degli stati generali dell’editoria (ieri giornata di confronto sulle agenzie di stampa) prendendo la parola all’inizio con una domanda banale (valutare «una registrazione dell’esistente» in materia di convenzioni con la presidenza del Consiglio o «pensare a qualcosa di nuovo») e poi scappando via.

Non una parola sulla «prima fase», quella aperta al pubblico sul Web, che si sussurra sia stato un flop totale.

In ogni caso, alle decine di manager e giornalisti delle agenzie di stampa venuti da tutta Italia speranzosi di potersi confrontare con il governo è toccato vedersela per tre ore con il capo dipartimento all’editoria, Ferruccio Sepe, che ha parato colpi, segnalazioni e critiche ma che certo non ha alcuna responsabilità diretta nel dipanare una matassa tanto complicata.

Sepe ha ricostruito il complesso iter amministrativo scaturito con gli ultimi bandi europei dell’epoca Lotti e ha sintetizzato i tre punti su cui le agenzie italiane sono più o meno d’accordo:

  1. sì all’intervento pubblico;
  2. regole diverse per agenzie nazionali e locali;
  3. preoccupazione per la dominanza degli algoritmi.

Su tutto il resto, un confronto civile ma surreale. Agli stati generali del governo mancava il governo.