La partita dentro al Movimento 5 Stelle va ben oltre le sorti della maggioranza di governo: riguarda temi fondativi e questioni identitarie che pongono domande difficili da eludere. Forse fin dal 9 febbraio prossimo, quando gli iscritti a Rousseau dovranno ratificare la nuova governance collegiale e si potrà misurare l’effetto della rottura con Alessandro Di Battista.

Vito Crimi dopo avere incontrato l’«esploratore» Roberto Fico invoca un «cronoprogramma», «un percorso che dovrà essere pubblicamente sottoscritto da tutte le forze politiche che intendono partecipare». Ma questa crisi le vicissitudini che ne sono seguite dicono che qualcosa sta cambiando. Fino ad oggi il M5S aveva sostenuto che ogni alleanza era lecita purché consentisse di raggiungere obiettivi concreti. In base a questo postulato i grillini (e Giuseppe Conte) erano potuti transitare dall’alleanza con la Lega a quella con il centrosinistra. Questa volta nela traiettoria grillina c’è un punto fermo (Conte, appunto). E il M5S è stato costretto dalle cricostanze a tracciare un solco e invocare il sostegno degli «europeisti». «Se il Movimento 5 Stelle ieri avesse messo dei veti avrebbe ostacolato il presidente Conte» riflette prosaicamente il capogruppo alla camera Davide Crippa all’indomani della salita al Colle della delegazione pentastellata che ha verbalizzato l’abbandono della linea «Mai con Renzi».

Dunque, lo schema si rovescia: il M5S ha fatto una scelta di campo e in base a quella ha cercato , prima dei «responsabili» e poi, quando ha visto che questi non bastano, ha fatto cadere il veto nei confronti dei renziani. È una mutazione non da poco per una forza politica sedicente «post-ideologica», che in nome degli obiettivi da raggiungere aveva rivendicato mani libere per decidere di volta in volta la maggioranza più conveniente.

L’altra parola chiave, circolata già nei giorni scorsi e ribadita dopo l’incontro con Fico, è «divisivo». Crimi teorizza che l’agenda della nuova coalizione pro-Conte debba espungere i temi divisivi, come il Mes, in modo da ritrovare punti di convergenza. È da giorni che i vertici danno indicazione ai parlamentari di non agitare argomenti e toni divisivi. È un aggettivo che pare anomalo, da queste parti, ma che in realtà i 5 Stelle conoscono bene. Nel corso degli anni gloriosi della crociata contro la Casta, Gianroberto Casaleggio invitava spesso i suoi a non inceppare la macchina comunicativa grillina con argomenti considerati appunto divisivi, primo fra tutti l’immigrazione.

Quando si era all’opposizione bisognava apparire aggressivi e al tempo stesso rassicuranti, in modo da raccogliere consensi da ogni tipo di elettore. Adesso, rivendicando la propria natura di «baricentro» della maggioranza di governo, l’invito a non essere divisivi assume tutt’altro tono. Nicola Morra, uno di quelli che non si rassegna alla riapertura a Renzi, batte su questo punto per fare emergere le contraddizioni e prova a gettare sul tavolo proprio un tema «divisivo». «Se un nuovo governo dovesse nascere – sostiene Morra – dovrà affrontare di petto la questione della revoca delle concessioni autostradali. E dovrà procedere sapendo usare sia il bisturi che l’accetta».