La minoranza di blocco dei paesi a guida socialdemocratica sta, forse, vincendo la battaglia delle parole. L’ultima versione della bozza del comunicato finale del Consiglio europeo del 26 e 27 giugno parla chiaramente di crescita e occupazione e soprattutto mette questi termini al primo posto: “l’Unione ha bisogno di passi concreti per rafforzare gli investimenti, creare occupazione e incoraggiare riforme mirate al perseguimento della competitività, appoggiandosi sui recenti sforzi di consolidamento, le regole esistenti del Patto di stabilità e di crescita e un pieno uso della flessibilità in esso contenuta”. Nove paesi a guida socialdemocratica su 28 non sono certo maggioranza, ma rappresentano una minoranza di blocco importante, tanto più che la destra del Ppe all’europarlamento ha bisogno dei voti del gruppo Pse per far passare Jean-Claude Juncker alla presidenza della Commissione (c’è bisogno anche dei voti del gruppo liberale, perché i britannici del Pse non voteranno l’inviso “federalista” Juncker, cosi’ come i deputati ungheresi del gruppo Ppe).

L’angolo di attacco socialdemocratico è stato messo a punto al mini-vertice di sabato scorso a Parigi. Il Pse non mette in crisi il Patto di stabilità – cioè la regola del 3% di deficit – ma ne chiede una lettura più flessibile: il Patto si chiama anche “di crescita”. Sarà la futura commissione a decidere, ma il contenuto del mandato a Juncker viene deciso dal Consiglio dei capi di stato e di governo. Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio Ue a fine mandato, deve cedere sul rigore: nella bozza si parla di “consolidamento di bilancio differenziato e attento alla crescita, in linea con il Patto di stabilità e di crescita e nell’attuazione delle riforme strutturali negli stati membri”. I costi delle riforme potrebbero essere tolti dal calcolo dei deficit, è l’obiettivo dei governi di centro-sinistra.

“E’ arrivato il tempo di ripensare la strategia per rilanciare la crescita e creare lavoro”, ha precisato Matteo Renzi (l’Italia dal 1° luglio avrà la presidenza semestrale del Consiglio). Per Hollande, le priorità ormai “sono prima di tutto la crescita e l’occupazione, utilizzando tutti i margini, tutte le elasticità del patto di stabilità e di crescita, per lanciare un grande programma di investimenti, per organizzare in particolare la grande transizione e l’indipendenza energetica dell’Europa”. L’idea della Francia è di mobilitare il risparmio degli europei – che è alto, pari al 12% del pil – per favorire la transizione energetica e gli investimenti in grandi progetti (la Francia organizza nel 2015 il summit mondiale sul clima). Hollande si è svegliato ed è obbligato a dare manforte a Renzi, vista la situazione: da ieri l’Assemblea nazionale discute la rettifica della finanziaria, che prevede un taglio di 50 miliardi di euro alla spesa pubblica. Secondo la relatrice del bilancio, la socialista Valérie Rabault, si rischiano “effetti recessivi” pesanti, “un impatto negativo sulla crescita pari allo 0,7% del pil l’anno in media, che potrebbe comportare la perdita di 250mila posti di lavoro entro il 2017”. Una grossa fronda di deputati Ps minaccia di non votare la finanziaria bis se non verranno introdotte misure per il rilancio.

Angela Merkel è pronta ad accettare? Si vedrà al vertice venerdi’ prossimo. In Germania, al vice-cancelliere Sigmar Gabriel che ha ricordato che Gerhard Schröder, nel 2003, aveva fatto le riforme senza rispettare i vincoli di bilancio, Merkel ha per il momento risposto picche, facendo valere anche il fatto che da un po’ di tempo la Commissione ha concesso maggiori margini.