Gli eventi che coinvolgono i creatori di moda sono sempre indicatori di un cambiamento che il settore non sempre interpreta per la portata reale che hanno. La scorsa settimana Consuelo Castiglioni, che oltre vent’anni fa ha fondato il marchio Marni insieme con suo marito erede di una famiglia industriale del tessile, ha lasciato la direzione creativa dopo che due anni fa la proprietà del marchio era passata sotto il controllo totale della Only the Brave di Renzo Rosso, un medio polo italiano del lusso che possiede anche Diesel, Maison Margiela (con la direzione creativa di John Galliano), Victor & Rolf e l’unità produttiva Staff International. Contestualmente, l’azienda ha comunicato la nomina di Francesco Risso alla direzione creativa e l’uscita di tutti i collaboratori della Castiglioni, compresi il marito e la figlia che avevano incarichi operativi. Ma anche di Lucinda Chambers, fashion director dell’edizione inglese di Vogue che da anni forniva le consulenze stilistiche e di immagine per le collezioni (e non è mai un bene che un direttore di un giornale lavori così invasivamente per uno stilista), buona parte dell’ufficio stile e Michelle Rafferty, la stylist che lavora sulle collezioni maschili. In più, a spiegare perché il nuovo direttore creativo sia stato scelto all’esterno è che Risso proviene dalla scuderia degli stilisti dell’ufficio stile di Prada, un marchio a cui la Castiglioni ha sempre guardato in passato come riferimento della sua estetica, prima di cambiare registro e allinearsi alle visioni di Rei Kawakubo di Comme des Garçons o di Pheobe Philo per Céline.

La stampa di moda ha reagito alla notizia strappandosi le vesti: non si sa spiegare perché il fondatore di un marchio possa decidere di abbandonarlo – o ne sia allontanato – e non sa darsi la spiegazione più ovvia. E cioè, che quando si decide di vendere un qualcosa che ci appartiene ne perdiamo il controllo e continuare a credersi padroni in casa d’altri è sempre un errore che si sa in partenza di non poter commettere.

Soprattutto se si tratta di un’attività creativa che ha la necessità di essere supportata proprio da chi compra: dopo la vendita, il fondatore-proprietario diventa un dipendente della società che compra e non può continuare a vantare il privilegio della genitorialità. Non occorre un mago, quindi, per capire che tra Castiglioni e la nuova proprietà ci sono state delle comprensibili incomprensioni che hanno reso impossibile la prosecuzione del rapporto.

Ma se è possibile trarre una morale dalla vicenda Marni si può ribadire, come troppo spesso avvertito in questa rubrica, che cercare di correre sotto l’ombrello protettivo dei gruppi finanziari attirati dalla sirena della crescita a doppia cifra è ormai una strategia completamente sbagliata. Da questo si può trarre un’ulteriore indicazione: rimanere creativi è un privilegio dell’indipendenza. Lo dimostrano due esempi diversi e distanti nel tempo: Yves Saint Laurent è diventato il genio che è stato quando, licenziato da Dior, ha fondato il suo marchio con il compagno Pierre Bergé e Domenico Dolce e Stefano Gabbana sono gli ultimi stilisti indipendenti a possedere un proprio marchio perché non hanno mai ceduto alle lusinghe delle proposte di acquisto dei grandi gruppi finanziari. Se i giovani cominciassero a lavorare in modo indipendente e non cedessero alle lusinghe del divismo della notorietà e, anziché andare a disegnare per i marchi storici, investissero sul proprio marchio senza pensare ai fatturati miliardari, forse il corso della moda cambierebbe nel senso storico che pretende il nostro presente.

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