Succede che a inizio marzo un cittadino marocchino, recluso nel CPR di Gradisca da mesi, nomini un difensore di fiducia per cercare di ottenere un obbligo di dimora; è stanco, e non poco, di restare rinchiuso in attesa di un rimpatrio che appare sempre più lontano e suo fratello, regolarmente in Italia, è ben disposto a ospitarlo.

L’udienza per la proroga della detenzione amministrativa viene fissata a ridosso del 25 aprile e l’avvocato vi partecipa determinato a cercare di toglierlo da quella galera dove la noia quotidiana è interrotta soltanto dal rancio riscaldato arrivato, come ogni mattina, da Padova.

L’udienza si svolge dentro il CPR, come avviene sempre, in una stanza neanche tanto grande dove si riuniscono tutti: il Giudice di Pace, qualcuno degli uffici interni, altri avvocati. Non dura pochissimo perché l’avvocato le prova tutte per convincere il giudice a lasciare che il suo assistito raggiunga il fratello ma non c’è niente da fare. Non resta che dare la brutta notizia al ragazzo marocchino: parlano, vogliono capirsi bene e meno male che c’è un mediatore culturale a dare una mano.

Qualche giorno dopo l’avvocato impara sgomento che il suo assistito è positivo a covid-19. Chi glielo dice? Il fratello del ragazzo che gli telefona allarmato. Nessun altro lo contatta. L’avvocato trasecola: non c’è nulla nel fascicolo sullo stato di salute del suo assistito, nessun esame diagnostico né alcun riferimento a covid-19. Perché nessuno lo ha avvisato? Quando e chi ha rilevato la positività al virus? Cerca di avere più notizie ma il ragazzo marocchino, al telefono, ha capito poco anche lui se non che sì, è positivo a covid-19. Forse gli avevano fatto il tampone il lunedì prima, forse era quell’infermiera gli aveva messo un batuffolino in bocca e lui non aveva capito cosa fosse.

Proprio in quei giorni era comparso in televisione l’assessore regionale alla salute Riccardi: “Sono stati confermati tre casi di positività al Covid-19 tra le persone trattenute all’interno del Cpr di Gradisca d’Isonzo. I soggetti si trovano in un’area isolata e non risultano casi di infezione tra le Forze dell’ordine e gli operatori della struttura”. Sembrava una conferma, almeno dei tempi.

Ma perché lui, l’avvocato, non aveva saputo subito della contagiosità del suo assistito? E con lui tutti gli altri, tutti quelli che avevano partecipato alle udienze per tutta la settimana, per esempio?

Non si capisce. E non si capisce nemmeno quale sia la situazione reale. La sindaca di Gradisca ricorda che c’è già stato un allarme covid a inizio aprile con un migrante nigeriano arrivato positivo da Cremona. Linda Tomasinsig, in contemporanea all’intervista televisiva di Riccardi, riferisce quello che risulta a lei (dalla Prefettura, dice): “Ieri un detenuto è stato rilasciato per aver terminato il suo periodo di trattenimento. Oggi sono pervenuti i risultati dei tamponi effettuati nei giorni scorsi che hanno rivelato la presenza di cinque positivi tra i detenuti. Tra questi, anche il detenuto già rilasciato. Dopo le ricerche delle autorità è stato rintracciato a Pistoia nel pomeriggio e lì gli è stata notificata la quarantena. La notizia della presenza di cinque detenuti positivi a Covid-19, in aggiunta al caso dello scorso mese, ha alimentato la protesta all’interno della struttura”

Vero, gli incidenti, i materassi in fiamme, ci sono stati e si sono ripetuti per un paio di giorni. Poi un altro distinguo arriva da No-CPR: “Il 24 aprile, da dentro il Cpr ci fanno sapere che ci sono almeno cinque persone positive al Coronavirus. Sono rinchiuse nelle celle comuni, con altri. La Regione dichiara che ci sono tre persone positive in isolamento: è falso. Abbiamo le fotografie. Tutte le persone trovate positive hanno portato i materassi fuori dalle celle, per dormire nelle gabbie all’aperto e non infettare i propri compagni.” Un bel casino, ma le proteste si sono calmate e il problema può essere archiviato.

L’avvocato, in quarantena volontaria, raccoglie elementi come può: probabilmente, il 20 di aprile, sono stati fatti i tamponi a tutti i migranti. Probabilmente tutte le risposte sono arrivate il 24. Chi l’ha deciso? Quando? Perché? Perché quella totale mancanza di informazioni? Secondo l’assessore Riccardi è tutto sotto controllo ma, sotto la rassicurazione, alcune domande restano sospese senza risposta.

E poi c’è un secondo migrante assistito dal nostro avvocato che risulta positivo al coronavirus: anche questo lo impara a posteriori ma, almeno questa volta, è una notifica che gli arriva dal CPR. L’ansia aumenta, manco a dirlo: anche con questo era andato a colloquio proprio la settimana precedente.

Intanto le informazioni continuano a sbattere una contro l’altra. La sindaca di Gradisca, pochi giorni dopo, scrive su fb: ”Ho chiesto alle autorità competenti più sicurezza per chi lavora in questo centro, forze dell’ordine, operatori della cooperativa e della giustizia che gravitano attorno alla struttura, affinché vengano eseguiti i tamponi a tutti. Al momento questo non mi risulta sia stato fatto.”

Tamponi fatti, tamponi non fatti, tre positivi, cinque, sei, migranti, polizia, avvocati … l’unica cosa certa è che non si capisce, che come la giri qualcosa non torna. Come funziona la gestione del CPR? Come funziona l’informazione sui contagi? Chi sa esattamente cosa sta succedendo?

L’avvocato ottiene un tampone negativo. Meglio così, ma resta il problema e non è un caso personale. Avviene così che l’avv. Giovanni Iacono (perché questa è una storia vera, ahimé) decide di inviare un esposto alla Procura della Repubblica di Gorizia perché sia questa a valutare “gli eventuali profili d’illiceità penale”.

Ci mette la sua faccia, ma fa domande che riguardano tanti: le cose non dette, le contraddizioni, una struttura securitaria e la fitta nebbia che la nasconde. Servono risposte. All’avv. Iacono, ai suoi colleghi, a chi abita o lavora intorno e dentro il Cpr. Ma anche ai migranti, perché no?, non sono mica pacchi da buttare da un carcere all’altro, da custodire e spedire e chissenefrega: sono persone.