Nessuno dei quattro farmaci analizzati da uno dei maggiori trial clinici del mondo contro il Covid-19 ha ottenuto una diminuzione della mortalità dei pazienti a 28 giorni. I risultati del Solidarity, che hanno coinvolto negli ultimi sei mesi più di 11mila pazienti in 400 ospedali in 30 paesi di tutto il mondo (tra cui l’Italia) e sono stati resi noti giovedì sera dall’Oms in un articolo che verrà pubblicato su The new England Journal of Medicine, hanno mostrato che neppure il remdesivir o l’idroxiclorochina, due farmaci lodati dai negazionisti più potenti della terra come Donald Trump o Jair Bolsonaro, hanno avuto alcun effetto misurabile sulla sopravvivenza dei pazienti colpiti dal virus pandemico.

Si tratta di quattro farmaci cosiddetti “riposizionati”, cioè farmaci già esistenti e utilizzati contro altre malattie e che si cerca di riposizionare per nuove malattie. L’approccio, soprattutto nel caso di un’emergenza come quella che abbiamo vissuto quest’anno, è sensato: in attesa di essere in grado di sviluppare una terapia disegnata sul patogeno o di un vaccino specifico, si utilizzano farmaci di cui è noto il funzionamento e che si suppone possano avere un effetto terapeutico. L’idroxiclorochina funziona contro la malaria, il lopinavir si usa contro l’Hiv (un altro retrovirus come il Sars-CoV-2), il remdesivir attacca un enzima specifico di altri virus a Rna e che è stato testato contro l’Ebola, e l’interferone beta, proteine che servono a scatenare la risposta immunitaria in presenza di un patogeno nella cellula e che interferiscono con il ciclo virale.

Anche se sembra una brutta notizia non lo è: in poco tempo si è riusciti a organizzare un solido trial clinico contemporaneamente su 4 farmaci coinvolgendo moltissimi pazienti di paesi diversi, randomizzando la cura ricevuta e confrontandola con pazienti che non ricevono nessuna cura. E comunque questi risultati negativi non escludono che per esempio il remdesivir (attualmente autorizzato come farmaco di emergenza contro il Covid-19 in molti paesi) non possa avere alcuni effetti positivi, come un decorso della malattia più breve (come sembra dimostrare uno studio su un migliaio di pazienti pubblicato sulla stessa rivista qualche giorno fa).

La Gilead che commercializza il farmaco non è convinta dai risultati, dato che a loro giudizio il trial era troppo eterogeneo. Naturalmente la casa farmaceutica ha tutto l’interesse a dimostrare che il proprio farmaco è efficace: tanto più che il giorno 8 l’impresa ha firmato con la Commissione europea un contratto per fornire 500mila dosi del farmaco in 36 paesi nei prossimi mesi per più di un miliardo di euro. Un farmaco che oggi sappiamo essere inutile per salvare vite, cosa che Gilead sapeva dal giorno 28 settembre, secondo l’Oms.