In un mondo razionale a destare sconcerto non dovrebbe essere la frana che muove sopra i piccoli borghi di La Palud ed Entreves, lontani 4 km dalla ben più nota Courmayeur. Bensì ciò che si trova di fronte, l’inarrestabile e impetuoso ritiro della Brenva, la lingua terminale della Mer de Glace, il secondo ghiacciaio più importante d’Europa, lungo 7 km e spesso circa 200 metri. Ma oggi ad eccitare gli animi è la frana del Monte de la Saxe. Quattrocentomila metri cubi di roccia e fango pronti a piombare sulle case. Quando? In qualsiasi momento. Formula retorica che apre a eccitanti scenari apocalittici.

Solo due giorni fa sembrava che una intera montagna da un momento all’altro dovesse staccarsi e arrivare fino a Courmayeur, bloccare il tunnel del Monte Bianco e la viabilità internazionale. Il 20 Aprile Davide Bertolo, dirigente della struttura Attività geologiche del Dipartimento difesa del suolo e risorse idriche della Regione Valle d’Aosta diceva: «Se la frana che ha fatto scattare lo stato d’allarme continuerà a muoversi a questo ritmo, entro una decina di giorni qualcosa succede». E quindi il circo mediatico è accorso su queste montagne perfette per assistere al grande evento in diretta. La natura matrigna che ricaccia indietro gli uomini che si sono impossessati di pezzi di territorio. Narrazioni accese, condite da un pizzico di luddismo.

Invece l’eccitamento è calato con la progressiva percezione che la montagna non sarebbe caduta tutta insieme con un gigantesco colpo di scena. La montagna, in moto da anni, è rimasta inspiegabilmente lassù. Anzi, ha rallentato la sua progressione verso valle proprio negli ultimi giorni.

Quindi cosa fare? Presidiare la fortezza Bastiani a oltranza? Piano piano, le troupe hanno smontato le parabole e le telecamere puntate sul fronte di fango e roccia che occhieggia verso i pochi curiosi che ancora manifestano un qualche interesse per questa immensa rupe. È rimasto una specie di deserto fatto di prati verdissimi, genziane fiorite, cielo azzurro, case, casette, terrorizzanti avvisi alla popolazione in cui il Sindaco di Courmayeur ordina, ai residenti vicino alla frana, l’evacuazione, raccomandando di staccare acqua, luce, gas, portare via effetti personali e documenti prima di abbandonare le case. Pezzi di territorio chiusi a tutti, presidiati da check point della protezione civile. Ieri i residenti evacuati erano novanta e potevano tornare a piccoli gruppi nelle loro case abbandonate per recuperare i loro effetti.

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A maledire tutto e tutti (in primis giornalisti, geologi, sedicenti esperti, veri esperti che arrivano in elicottero e se ne vanno) i residenti di Entreves che lavorano e vivono con il turismo. Un coro unico: «Hanno fatto terrorismo per una vicenda nota da secoli. E noi qui abbiamo perso il 70% del lavoro. Fioccano le disdette e noi non possiamo fare nulla. I lavoro qua serve, non la spettacolarizzazione del nulla». In un territorio oggettivamente ricco e che attrae ancora legioni di migranti italiani, non più solo dal Sud, pronti «a fare la stagione».

A rassicurare tutti è stato il capo della Protezione Civile Franco Gabrielli che ha promesso compensazioni. Parole che però non consolano perché dal centro del borgo la frana incombe e spaventa, almeno per chi non è abituato a vivere qua sotto. Eppure loro, i residenti, sono serafici: «Sempre stato così, nessuna novità. Accadrà quello che dicevano i vecchi un tempo. Piano piano crollerà tutta la montagna, ma non in un colpo solo e men che meno raggiungerà queste case». Il problema, secondo altri, sarebbe riconducibile a un massiccio taglio di alberi proprio in cima alla frana, peggiorato dalla costruzione di una piccola strada. Ipotesi improbabile secondo i geologi che, da sempre sanno come le fratture nella roccia friabile siano molto profonde, e «disinteressate» a quanto avviene in superficie.

Case quelle di Entreves, che probabilmente non verranno raggiunte in nessun caso, a onor di cronaca risalenti a cento anni fa: un tempo erano fienili, ora sono rustici deliziosi con i tetti in pietra o addirittura in legno. Non così invece ciò che è stato costruito successivamente. Come una qualsiasi periferia italiana anche il nord più nord del paese non ha resistito e si è allargato. Pressione turistica, doppie case, alberghi. L’urbanizzazione si è espansa fino a posizionarsi a pochi metri dal torrente Dora, invaso naturale dove dovrebbe trovare sfogo la frana qualora decidesse di scendere a precipizio.

Per salvare ciò che si allargato da tempo sono previsti lavori di «messa in sicurezza del territorio», ovvero un muro di contenimento che dovrebbe fermare la montagna. Terra e cemento per salvare le infrastrutture più esposte. Secondo gli esperti della Protezione Civile è la risposta che risolverà il problema. Un’altra antropizzazione quindi. Dove c’è un guasto provocato dall’uomo un intervento costrittivo per porre rimedio. Il famoso riassetto idrogeologico del Paese, visto da quassù, ha aspetti non univocamente positivi.

Ma il guaio è oggi, e quindi velocemente bisogna fare il «Vallo di Adriano valdostano». Qualora la frana si staccasse essa verrà convogliata dentro una specie di pista da bob avente come sponda l’argine già esistente del torrente, adeguatamente rinforzato da un muro di nove metri. Ma quand’anche questo potesse contenere quattrocentomila metri cubi di roccia che piombano a valle, quali effetti provocherebbe la conseguente diga che verrebbe generata dallo strozzamento della Dora? La risposta è «nessuno», perché verrà creato un bypass idraulico in cui convogliare le acque del torrente.

Un corso d’acqua di montagna tombato? Meglio non pensarci.

Complessivamente, fino ad oggi, la porzione di roccia e detriti staccatasi è pari a 30.000 metri cubi. Ma se davvero tutta la montagna dovesse smottare allora il volume sarebbe impressionante: otto milioni di metri cubi, pari a tre piramidi di Cheope. A sentire i vecchi della zona, che conoscono bene quella montagna, è un evento che, «a dispetto di voi giornalisti, non avverrà mai». Anche se, paradosso nel paradosso, pur di porre un freno all’emorragia di turisti e lavoro causata dal panico frana, alcuni residenti preferirebbero la scelta drastica: un distaccamento controllato delle parti più esposte. Così finirebbero i distacchi di massi che, con boati assordanti, spaventano e centellinano le cattive notizie. Ma, i geologi che volteggiano sopra la montagna a bordo dei loro elicotteri, tendono a escludere l’armagedon geologico, la definitiva resa dei conti con la frana.

Così passano il tempo, le ore, i giorni, le settimane. Ieri la montagna pareva immobile al quarto giorno post accelerazione. Nei prossimi giorni è prevista pioggia e questo potrebbe alterare la situazione. Chissà, la natura è imprevedibile e gli stessi geologi non avanzano ulteriori previsioni su quello che sarà. Ogni tanto si stacca un sasso o un macigno, scoppia un boato e si alza un nuvolone di polvere. E mentre questo accade fioccano le telefonate di quanti domandano se è pericoloso raggiungere Courmayeur e che comunque «no, disdiciamo, pazienza, ma quest’anno andiamo la mare».