I popoli del Nord Europa hanno rappresentato, fra X e XII secolo, una forza propulsiva che ha profondamente modificato la storia del nostro continente. Tra Jütland e penisola scandinava vivevano infatti popoli germanici abituati a navigare tra il Baltico e il Mare del Nord. Non tutti, beninteso, erano marinai: anzi, si può dire che il nucleo della cultura nordica del tempo fosse piuttosto contadino. Le fonti altomedievali europee li conoscono collettivamente come «normanni», cioè semplicemente «uomini del nord». Ma oggi sono forse ancor più noti con il termine «vichinghi», parola del loro idioma che non indicava tuttavia l’intera gente scandinava, ma soltanto quelli che, abitando i nuclei costieri riparati di solito dai profondi fiordi, si davano alla pirateria. Furono soprattutto i danesi a battere, fra IX e X secolo, le coste dell’Inghilterra e del Mare del Nord; gli svedesi si dettero piuttosto al commercio fra Mar Baltico e Mar Nero attraverso la rete dei fiumi russi, e il loro apporto di mercanti e di costruttori di centri fortificati lungo le sponde del Volga, del Don e del Dnjestr contribuì in modo determinante a quella che sarebbe stata la civiltà russa, nata appunto dal connubio fra le popolazioni autoctone slave e i nuclei di mercanti-guerrieri svedesi (detti «variaghi»). I norvegesi, infine, si dettero alle esplorazioni nell’Oceano Glaciale Artico, raggiungendo fra X e XI secolo Islanda, Groenlandia e addirittura le coste del Labrador in America (la cosiddetta «Vinlandia»).

Il nucleo di vichinghi che, in seguito ad accordi con i sovrani capetingi e con le aristocrazie locali, si insediò in quella che sarebbe stata nota appunto come Normandia, a sua volta ha dato un contributo importante alla storia e alla civiltà dell’Inghilterra da una parte, dell’Italia meridionale insulare e peninsulare dall’altra (il regno di Sicilia). Ricostruisce i caratteri di fondo di questa avventura che abbraccia un continente Hubert Houben in una sintesi densa e informata: I normanni (il Mulino, 142 pp., 12 euro). La formazione del regno italomeridionale, con le sue propaggini nel Vicino Oriente crociato, con le sue imprese militari, ma anche con le sue città e la sua civiltà di sintesi, in grado di non gettar via la stessa tradizione araba che aveva reso grande la Sicilia dei secoli fra IX e XI, è l’apice della «carriera» normanna; che proprio nel regno si fuse, attraverso un matrimonio combinato da Federico I Barbarossa, con quella imperiale: Costanza, erede in assenza di fratelli della famiglia regnante degli Altavilla, sposò Enrico VI, figlio dell’imperatore. La precoce morte di Enrico, tuttavia, lasciava l’erede (il futuro Federico II) ancora bambino, facendo quindi di Costanza la reggente. Non senza difficoltà, a lei spettò dunque il delicato compito di mediare in una situazione politica densa di minacce.

Proprio alle figure di reggenti e regine che hanno popolato la storia tra medioevo e – soprattutto – età moderna è dedicato il bel libro di Cesarina Casanova, Regine per caso. Donne al governo in età moderna (XXI-222 pp., euro 19, Laterza). Protagoniste che la storiografia ha spesso trascurato a causa di un pregiudizio di genere: con l’eccezione di Elisabetta I d’Inghilterra, sul trono per quasi mezzo secolo, abile stratega delle politiche europee e del proprio mito di vergine e madre del popolo d’Inghilterra.

Altre grandi donne della storia d’Europa, quali Matilde di Canossa (non una regina in senso dinastico, ma comunque personaggio centrale del secolo XI) ed Eleonora d’Aquitania, hanno ottenuto negli ultimi anni una maggiore e meritata attenzione. Mentre esempi di regine pur amate dal loro popolo, scrive Cesarina Casanova, come Caterina di Russia e, in tempi più recenti, Vittoria d’Inghilterra, non hanno goduto del medesimo spazio riservato ai sovrani di genere maschile.

Il libro è dunque al contempo una storia di queste donne, ma anche della sguardo che ne ha fissato la memoria. Uno sguardo nel quale era prevalente l’idea, spiegata bene dalla trattatistica cinquecentesca che nel libro viene presa ampiamente in considerazione, di una inadeguatezza delle donne a esercitare il comando: a causa della debolezza derivante dalla loro costituzione non solo fisica, ma anche morale. La prima avrebbe impedito loro, per esempio, il comando degli eserciti; la seconda le avrebbe esposte a vizi di libidine e di parzialità inadatti a chi deve gestire la giustizia secondo il modello biblico del re Salomone. Ma, se la propaganda poteva scatenarsi contro il pericolo di successioni femminili al trono, il successo di molte reggenti e regine al potere ci dice che la storia ha seguito un doppio registro e che le donne si sono di fatto conquistate spazi che la cultura «ufficiale» del tempo avrebbe loro precluso.