Sul palco del Bifest di Bari (21-28 marzo) si offre al pubblico una rappresentanza di storia del cinema italiano: Ettore Scola che dialoga con Giuseppe Tornatore che parla di Francesco Rosi. L’occasione è la presentazione del libro scritto da Tornatore Io mi chiamo cinematografo (Mondadori) iniziato per far uscire il regista, a cui è dedicato il festival con una retrospettiva, dal grave stato di depressione dopo la morte della moglie, una originale prassi psicanalitica che funzionò, con più di cento incontri della durata di due ore e mezzo. Tornatore definisce questa straordinaria esperienza la sua scuola di cinema. Per i vari blocchi dei bandi di concorso infatti non poté mai accedere al Centro sperimentale come desiderava fin dai tempi del liceo, ma attraverso il lungo percorso di lavoro di Rosi, le discussioni sui metodi di lavoro, i rapporti con gli attori, ha considerato concluso il suo corso regolare di studi.

Gli incontri con il pubblico, in maggioranza studenti sono una parte importante della manifestazione diretta da Felice Laudadio con tanti appuntamenti dedicati all’approfondimento e allo studio, come la rassegna completa Fritz Lang e le master class dei grandi registi. Quella di Costa-Gavras permette di farci ricapitolare almeno quarant’anni di cinema, quello che negli anni sessanta si definiva «politico», «militante» con una certa sufficienza rispetto alle stupefacenti immagini che ci arrivavano dalle novelles vacue internazionali, in cui il gioco dell’immaginazione prendeva il sopravvento sulla esposizione di fatti e il contenuto era annullato dalla forma. «Per me non conta la forma e lo stile, ma la storia» ribadisce ancora una volta Costa-Gavras. E torna alle origini, alla sua nascita nell’Arcadia dell’utopia: «un luogo con molto verde e uccelli così simile alla Sicilia dove ho girato due volte. Sono arrivato in Francia a 20 anni con il mio bagaglio culturale di studi classici, diverso dai figli della borghesia della nouvelle vague. Mio padre ha fatto la resistenza con la sinistra e quando ho lavorato nel cinema ho incontrato tanti comunisti onesti traditi dallo stalinismo. Noi che abbiamo subito l’occupazione tedesca, abbiamo vissuto l’infanzia facendo in modo di sopravvivere con le riserve di cibo e di legna che avevamo, un’infanzia ben diversa da quella di oggi. Le prime immagini che ricordo sono quelle dei cinegiornali che si vedevano dopo la messa: sono rimaste per sempre impresse nella mia memoria quelle di piazzale Loreto, con la Petacci e Mussolini appesi a testa in giù: mi colpiva vedere sui volti della gente accorsa i riflessi della gioia. Ero colpito da questo rapporto fra tragedia e gioia. Io volevo lasciare la Grecia e fare il cinema, sognavo di diventare come Humphrey Bogart o Burt Lancaster».

Costa-Gavras entra nel mondo del cinema accettando tutti gli stage, con Yves Allegret è diventato aiuto tuttofare, Con Claude Pinoteau è diventato primo assistente, con René Clair poteva trasmettere le sue indicazioni alla troupe. Su quei set incontra Simone Signoret e Yves Montand, un incontro fondamentale, interpreti del suo esordio, il poliziesco Compartiment tueurs (’65 Vagone letto per assassini): «Simone Signoret seguiva gli avvenimenti in Grecia, conosceva la storia della guerra civile e le problematiche del paese, mi ha invitato nella sua casa di campagna dove ho conosciuto Yves Montand, Chris Marker, Foucault e altri intellettuali. Parlavamo di politica con distacco e riflessione. Loro erano contro l’atomica ed è stato uno shock per loro quando l’Urss ha fabbricato la bomba. A quel punto hanno cominciato a prendere le distanze. Quanto a me ho imparato a prendere la politica senza fanatismo. Con Z l’orgia del potere volevo fare un film politico, sulla presa del potere dei colonnelli, ma nessuno voleva produrlo, né in Francia né in Italia finché abbiamo trovato l’opportunità di girare in Algeria grazie a un ministro che era un grande intellettuale e Jacques Perrin è diventato produttore e ancora oggi produce i film meno scontati del mercato».

I suoi film affrontano paesi e problematiche di ogni paese, la Cecoslovacchia della Confessione, l’Uruguay e i servizi segreti dell’Amerikano, il Cile di Missing, Israele di Hanna K, la Germania e l’Italia di Amen: «Il mio interesse è il potere, dice, e come il potere può essere positivo o negativo per gli uomini. Ogni film che ho fatto nasce da un evento che mi ha colpito. Non avrei potuto fare il Padrino come mi era stato proposto, non sono interessato alla mafia, Coppola lo ha fatto molto meglio. Se ho fatto un film è perché mi ha interessato una storia». In uno dei suoi film americani Costa-Gavras mette in scena anche il potere dei media (Mad City, ’97), un tema diventato sempre più pressante: «Credo che il fenomeno Marie Le Pen è stato coperto dai media perché ogni giorno è supportata nei suoi vari discorsi razzisti, è legittimata dalla stampa così la gente la vota, anche se ormai va a votare solo solo il 50%». Ha anche realizzato tanti film in America, anche se all’inizio non ci voleva andare, ma tutto è cominciato da Missing che vinse l’Oscar: «Poi ne ho fatti altri, ma non firmo niente se non a certe condizioni: il lavoro costante con lo sceneggiatore che deve essere un rapporto anche di amicizia, mentre negli Usa tu suggerisci l’idea e loro dopo un mese ti consegnano il copione già scritto, poi la postproduzione che va fatta in Francia, dopo che John Landis mi ha raccontato che durante il week end i produttori entravano in sala montaggio e intervenivano sulle scene. E poi metà del cast deve essere francese».

Rapporti di amicizia e di fraternità sono stati quelli con gli sceneggiatori Jorge Semprun e Franco Solinas: «L’unico modo di lavorare con Jorge Semprun era isolarlo in una casa di campagna e lavorare in continuazione. Franco l’ho incontrato nella sua casa di Fregene, con lui siamo andati in Cile, a Cuba, abbiamo raccolto informazioni su Allende, abbiamo conosciuto un agente della Cia che sosteneva di voler collaborare con il paese. Solinas aveva una visione straordinaria del mondo. Era membro del Pci, aveva un grande spessore umano».