Dopo l’appello lanciato dalla dottoressa Angelica Milia sulla gravità delle condizioni di salute cui è ormai giunto il suo paziente, l’anarchico Alfredo Cospito, in sciopero della fame dal 20 ottobre come forma di protesta contro il regime di 41bis con il quale è recluso nel carcere di Bancali, a Sassari, ieri la Cassazione ha anticipato dal 20 aprile al 7 marzo l’udienza nella quale tratterà il ricorso contro il carcere duro disposto nei confronti del detenuto per altri tre anni e quattro mesi. Il ricorso ai giudici del Palazzaccio è stato presentato dall’avvocato difensore Flavio Rossi Albertini dopo che il Tribunale di Sorveglianza di Roma aveva rigettato la richiesta di revoca del 41bis imposto otto mesi fa dall’allora ministra Cartabia perché l’uomo è stato giudicato ancora un ideologo del Fai, l’organizzazione anarchica in nome della quale nel 2012 Cospito gambizzò l’Ad di Ansaldo, Roberto Adinolfi, e nel 2006, insieme alla sua compagna Anna Beniamino, piazzò un ordigno davanti alla caserma allievi carabinieri di Fossano senza produrre vittime. Recentemente il legale ha depositato una nuova istanza al Guardasigilli Nordio sulla base di «nuovi fatti emersi dalla sentenza di assoluzione della Corte d’Assise di Roma sulla cosiddetta operazione Bialystok» riguardante una cellula eversiva anarco-insurrezionalista e i presunti (ma dichiarati inesistenti dai giudici) legami fattuali con il detenuto Cospito.

«UN FATTO POSITIVO – ha commentato Milia, la dottoressa che lo tiene in cura – ma si tratta di aspettare ancora 30 giorni, e nelle condizioni di Cospito può succedere di tutto. Stiamo camminando sul filo del rasoio e si può cadere da un minuto all’altro». Per questo, rompendo il riserbo con il quale il Garante nazionale dei diritti delle persone private di libertà ha trattato questa vicenda fin dall’inizio, pur visitando Cospito in carcere in questi mesi, Mauro Palma è intervenuto ieri pubblicamente per chiedere che l’uomo venga «trasferito con urgenza in una struttura in grado di garantire un immediato intervento di carattere sanitario in caso di situazioni di acuzie, rischio peraltro elevato dato il forte stress a cui è sottoposto da mesi il suo organismo».

IL CARCERE DI SASSARI infatti, spiega Palma, «non è dotato di un centro clinico interno e nel territorio limitrofo non vi sono strutture sanitarie in grado di assicurare eventuali interventi urgenti con la dovuta sicurezza». Il Garante, inoltre, «ricorda che la tutela della salute di chi è nella disponibilità dello Stato, in quanto privato della libertà personale, è responsabilità dell’Amministrazione che lo ha in carico e ritiene che un trasferimento di Alfredo Cospito non sia più procrastinabile». Infine Palma auspica «che – nel pieno rispetto delle Istituzioni che si stanno occupando della vicenda – si giunga in tempi rapidi a una soluzione che permetta che sia posto fine allo sciopero della fame che prosegue ormai ininterrotto da cento giorni».

TRA I TANTI APPELLI che in questi giorni si levano in favore dell’anarchico da ogni parte politica – perfino dall’ex leader di Forza Nuova Giuliano Castellino, fondatore di Italia Libera – c’è chi come Luigi Manconi dalle colonne de La Stampa si rivolge direttamente a Papa Francesco per chiedergli di dedicare con umana compassione «una sua parola», «utile affinché la vicenda di quest’uomo, oggi ridotto alla “nuda vita”, non cada nell’oblio». Mentre i capogruppo di Senato e Camera dell’Alleanza Verdi e Sinistra, Peppe De Cristofaro e Luana Zanella, avvertono: «È in gioco non solo la vita di una persona, di per sé importantissima, ma l’umanità e la forza delle istituzioni e del Paese». E Carlo Calenda, leader di Azione: «Il 41 bis è un carcere particolarmente duro e questo signore, anche se ha commesso atti gravi, non ha nulla a che vedere con quel regime carcerario ed è malato, va trasferito».

PIÙ ATTENTI AL MESSAGGIO politico e meno all’aspetto umanitario, alcuni attivisti hanno manifestato ieri pomeriggio davanti al ministero di Giustizia per supportare la lotta nonviolenta di Cospito e dire che «41 bis e ergastolo sono torture di Stato».