Scritto, prodotto e suonato da Cosmo insieme a Alessio Natalizia – produttore e musicista di base a Londra e noto nei circuiti underground internazionali con l’alias Not Waving – esce oggi Sulle ali del cavallo bianco (Columbia Records/Sony Music Italy e 42Records), il sesto album dell’artista piemontese. Undici brani, nove inediti che si sommano ai due pezzi che negli scorsi mesi hanno fatto da apripista al progetto, Troppo forte e Sulle ali del cavallo bianco, la title track. Il terzo singolo estratto da oggi in rotazione radiofonica è L’abbraccio, una pop song evocativa, scelta come manifesto di questo nuovo disco tra trionfi di chitarre e suoni più emotivi, «il pezzo che ci ha più scioccati per il risultato, che ci ha più emozionati», sottolinea Cosmo. Il tour nei club inizia il 30 marzo dal Tuscany Hall di Firenze. Dopo il debutto fiorentino, il tour arriverà il 2 aprile alle Ogr di Torino già sold-out come buona parte delle date previste.

Un’opera pop nella accezione nobile del termine, nel senso che sono canzoni strutturate con delle basi quasi sperimentali, ma mantengono una freschezza e una melodia a fronte di arrangiamenti complessi. Come è nata?

In realtà è il disco che ho realizzato in tempi più stretti, io e Alessio Natalizia abbiamo iniziato a febbraio dello scorso anno e a novembre avevamo chiuso. Tutto è confluito in maniera molto spontanea e per me dopo cinque dischi realizzati con la band, fare un album così in fretta ha rappresentato un piacevole novità. Nei miei lavori ho via via sempre più spinto l’acceleratore sull’elettronica, anche da club, con arrangiamenti che erano più basati sul suono e meno sul movimento armonico. Quindi c’erano magari uno o due accordi per canzone. Qui invece io e Alessio – che abbiamo una visione e un approccio al lavoro decisamente comune – sentivamo l’esigenza di tornare un po’ alla tradizione, giri più complessi e anche una strumentazione più ricca: chitarre, pianoforti, violini.

In uno stesso brano ci sono tre soluzioni melodiche diverse. Non è una consuetudine nella musica pop, specialmente quella mainstream contemporanea che passa per radio….

Sì, rispetto agli altri dischi è stato tutto diverso. Però l’obiettivo è sempre stato quello di essere più pop possibile, nel senso godibile ma anche spontaneo e meno cervellotico. È stato oserei dire…giocoso e inaugura una fase nuova della mia vita condiviso con un’altra persona.

La voce – rispetto agli altri album – è decisamente in primo piano. Negli altri progetti sembrava che Cosmo si nascondesse…

È stato Alessio a spingermi, a infondermi coraggio. Mi diceva che avevo un bel ‘delivery’, un termine inglese per definire chi riesce a comunicare con le inflessioni vocali, il modo in cui consegni il messaggio. L’abbiamo registrata davanti al microfono, senza filtri o echi perché quando aggiungi troppo riverbero è perché ti senti insicuro.

Ha definito la sua musica come un ‘atto masturbatorio’. Perché?

Nel senso che ho un po’ la deformazione da musicista sperimentale. Il rischio che si componga per auto compiacersi, fregandosene del pubblico. Un rischio che – lo ammetto – corro spesso, però con Alessio ci siamo promessi e ripromessi di far sì che questa cosa non prendesse il sopravvento, quindi fare della nostra masturbazione un piacere per tutti..

«Sulle note del cavallo bianco» è pop ma non insegue le mode imperanti…

Abbiamo voluto evitare di rivestire i pezzi di tutti questi suoni belli gentili, che non hanno spigoli in cui ogni passaggio è giocato in maniera super equilibrata, spalmata. Invece a noi piaceva spiazzare l’ascoltatore, alzando il volume, aggiungendo una chitarra.

Il disco è accompagnato da un progetto artistico, una installazione alla stazione centrale di Milano.

Il progetto nasce dal fatto che ho ricominciato a lavorare con Gabriele Tutino, il regista torinese che ha girato i miei primi videoclip. Ne abbiamo realizzato alcuni con le canzoni del nuovo disco e alla fine ci siamo indirizzati sull’idea di una installazione. Un cubo al centro della stazione centrale con i visual sul pavimento, gli specchi tutto intorno in cui gira un loop di 10 minuti dove si sentono tutti i frammenti del disco. Sostanzialmente è un’esperienza immersiva, immaginando una «dimensione tipo» che fosse quella di una specie di portale. Anche la figura del cavallo bianco è un po’ un tramite tra due mondi, e ci piaceva immaginare questo portale in cui si entra e si vive questa cosa assolutamente fuori dall’ordinario.

«Gira che ti rigira» – una delle tracce più interessanti del disco – è ispirata dalla leggerezza di «Attenti al lupo» scritta da Ron e poi interpretata da Lucio Dalla.

Ero a casa insieme a mia moglie e i miei figli e guardavamo video su YouTube per fare sentire ai bambini delle canzoni. È partita Attenti al lupo, un pezzo che ho sempre amato sin da bambino: una produzione esemplare, di incredibile leggerezza. E su quegli accordi in levare ci ho canticchiato sopra, poi quando con Alessio mesi dopo abbiamo iniziato a fare il disco il nostro gioco è stato quello di mischiare suoni più classici con suoni più bizzarri.

«Il messaggio» che chiude la scaletta, è il pezzo definito il più complesso e che ha rimandato fino all’ultimo.

È stato un periodo dal punto di vista personale particolarmente delicato, sia per me che per Alessio. Il messaggio mi piaceva ma qualcosa mi bloccava, finché mi è venuta l’idea di raccontare tutto come una sorta di viaggio psichedelico o ancor meglio un trip mistico, con una dichiarazione d’amore finale.

Da ottobre su Mubi è disponibile il documentario «Antipop,» regia di Jacopo Farina, dalla costruzione poco canonica. Più che vita e carriera di Cosmo è il racconto di chi gli gira intorno: familiari, amici….

È stata una gestazione lunga e anche tortuosa e all’inizio non volevo prendermene cura in alcun modo: insomma – pensavo – come faccio io a prendermi cura di un film che parla di me? Così è scattata l’idea di far parlare amici, familiari anche perché penso che ognuno di noi è quello che è, perché si definisce anche in base a chi ha intorno. Noi siamo strutturati in un certo modo, perché siamo cresciuti con certe persone.

Nel film si parla anche dei suoi esordi punk e poi il passaggio alla scena dei club. Qual è il filo che unisce due mondi a tutti gli effetti diversi?

Essenzialmente sono a loro modo due controculture, soprattutto il punk che nasceva sul finire dei settanta proprio con la connotazione di rottura. E l’elettronica – e in particolare quella del ballo, del dancefloor, quindi pensiamo alla rivoluzione rave fine anni 80, è nata come un gesto che non era solo musicale ma era anche una filosofia di vita, una visione sulla società. Per quanto addirittura si affermi che nella club culture è incluso l’elemento punk. E in qualche modo è vero, l’aspetto cyber e l’elemento utopistico lo riscontro. Quella attitudine la vivo come una sorta di deformazione, e mi è rimasta. Se vieni anche a vedermi dal vivo, capisci che ho quell’approccio. E a volte la trovi anche nel disco: ci sono le accelerazioni ovvero improvvisamente alzi i volumi, come se tu volessi dare una spinta molto più forte a pezzi che hanno un impatto già sostenuto. Sì, posso affermare di sentirmi legato a quell’attitudine.