«Aveva un minuscolo monolocale nel retrobottega del negozio J&M. Era grande quanto una stanza. Un posto davvero piccolo. Usò tre microfoni durante le registrazioni. Uno era per Fats, uno per gli strumenti a fiato, uno per basso e chitarra». Earl Palmer così descriveva la sessione del 10 dicembre 1949 in cui Fats Domino, partendo dal telaio di una vecchia melodia intitolata The Junker’s Blues incise il quarantacinque giri che lo svelò al mondo, contenente The Fat Man sul lato B e Detroit Blues sul lato A. Palmer è stato il batterista per eccellenza della New Orleans da cui provenivano il rhythm’n’blues e il rock’n’roll che cambiarono le sorti della musica mondiale e, solo per citarne due che divennero leggenda, suonò e registrò con Little Richard (tra cui la hit Tutti Frutti) e Sam Cooke. Palmer, che da ragazzo era stato un ballerino di vaudeville e che sapeva cavarsela bene nelle più svariate circostanze, vedeva il sassofonista che aveva appena terminato l’assolo, ruotare il microfono verso la sua batteria. Non era una soluzione bislacca, ma quello che andava fatto perchè lo diceva «Cozmo», Cosimo Matassa.

MELTIN’ POT
Come rivelano nome e cognome, l’imprescindibile ingegnere del suono ante litteram, era italiano per genia e genetica, ma nacque a New Orleans il 13 aprile 1926. La madre Domenica Leto era giunta da Palermo a inizio Novecento, il padre Giovanni, «John», da Cefalù nel 1910. La musica era di casa dalle loro parti: numerosi erano i parenti che in modo più o meno professionale potevano vantare dimestichezza con pianoforti, clarinetti e altri strumenti. Tanto tra le mura domestiche che in strada, sin da bambino Cosimo si trovò completamente immerso in un ambiente musicale, in quanto l’abitazione di famiglia era nel Quartiere Francese, all’epoca abitato da circa quindicimila persone che includevano afroamericani e migranti non solo italiani, ma anche irlandesi e tedeschi. E ognuno a proprio modo, riversava melodie diverse nella quotidianità del French Quarter, dove, vista la continua promiscuità di anime erranti da quasi ogni angolo del globo, non si manifestavano problematiche razziali, come raccontato dallo stesso Matassa, semplicemente perché era consuetudine vivere tutti assieme. A creare difficoltà furono di contro le leggi Jim Crow imposte dallo stato della Louisiana, che risultavano però stridere con la civile convivenza in atto: nonostante la divisione degli spazi sociali tra bianchi e neri, pur se con difficoltà, il Quartiere riuscì a mantenere la propria anima. In quella città incastrata tra la Grande Depressione e il conflitto mondiale in arrivo, Cosimo crebbe senza particolari problemi, dividendosi tra le scuole svolte con profitto a St. Philip Street, il Matassa’s Market, all’incrocio con Dauphine St., e l’università di Tulane nella facoltà di chimica, che abbandonò appena compreso che non faceva per lui.
Dopo aver scampato il pericolo di essere chiamato in guerra, a diciotto anni «Cozmo» si ritrovò ad affrontare il sano pragmatismo paterno che, come lui stesso ci raccontò divertito qualche anno fa, gli disse: «Se non vuoi studiare, andrai a lavorare, altrimenti ti prenderò a pedate fino a quando non potrai più sederti». Fu così che mettendo a frutto le nozioni base di un corso di elettronica e radiofonia, il giovane Matassa fece l’esordio come riparatore di juke box nel retro del J&M Amusement Service, negozio di dischi ed elettrodomestici del genitore e del socio Joe Mancuso, all’838-40 di North Rampart St. Era il 1945 e nascevano i J&M Recording Studios, nel cui retrobottega, grazie ad un’arguta intuizione di Mancuso, venne costruito un piccolo studio dove incidere dischi, con l’intento di far soldi registrando le velleità amatoriali di chiunque. Nessuno immaginava che invece di monetizzare le vanità personali di pochi, si sarebbe scritta la storia della musica.

IL DOPOGUERRA
Il tutto accadde velocemente grazie a una concausa di fattori. Negli Stati Uniti del dopoguerra, grandi etichette discografiche come Decca, Victor, Okeh e altre, palesarono una lentezza nel recepire l’aria di cambiamento proveniente da ogni angolo del paese, in particolar modo dal Deep South. Non colsero che oltre i «race records» (dischi diretti al mercato afroamericano), altro stava sorgendo: grazie a una generazione di geniali musicisti, all’esplosione delle radio, al desiderio collettivo di avere qualcosa di migliore oltre la guerra, una musica nuova era in arrivo. Capace di essere al contempo uno strumento di aggregazione, liberazione e rivoluzione, diventando la via per dar voce a chi fino a quel momento non ne aveva avuta, percorrendo le strade dell’imminente Civil Right Movement. Nonostante il maccartismo e il razzismo dilagante, il vento del cambiamento tirò fortissimo e il nuovo sound ruppe gli argini della cultura reazionaria come il Mississippi in piena. A intercettarlo furono delle piccole e agguerrite case di produzione come la Imperial, la Specialty e la Modern, le quali compresero che qualcosa stava accadendo, seguendo le orme di coloro che lo fecero per primi: i fratelli David e Jules Braun, titolari della De Luxe Records. Che giunsero a New Orleans nel 1947 per cercare artisti emergenti, convinti dal talent scout locale Al Young, che li introdusse a quel caratteristico sound che iniziava a circolare: un blues che implementava ogni aspetto della tradizione african american, a cui aggiungeva due caratteri distintivi di New Orleans, il ritmo e la spiccata attitudine alla melodia. Nasceva il rhythm’n’blues e accadde con i primi due singoli di successo prodotti dai Braun: True e Since I Fell for You che vennero firmati da Paul Gayten, musicista e arrangiatore dei J&M Recording Studios, dove vennero incisi sotto la guida di Matassa.

OCCHIO A ROY
Era fatta, come confermò qualche mese dopo il 45 giri da urlo che sancì l’avvio dell’era del rock’n’roll, Good Rockin’ Tonight di Roy Brown. Che Cosimo commentò con il suo consueto buonumore: «Roy era un estroverso a ventiquattro carati e aveva una grande band, che con lui tirava al massimo tutto il vangelo della chiesa e il blues della strada. E lo sai perché? Perché è sempre tutto tagliato dallo stesso pezzo di legno. Se ci viene comodo, ma certo, diciamo che il r’n’r è nato con lui». Nel corso degli anni come direttori musicali si alternarono D. Bartholomew, H. Battiste, W. Quezergue e A. Toussaint. Lo stesso studio ebbe luoghi e nomi diversi: dalla sede originale si mosse nel 1956 divenendo Cosimo Recording Studio fino al 1965, locandosi al 523 Governor Nicholls Street. E proprio questa strada, come altri ventidue luoghi sparsi per New Orleans, è balzata agli onori delle cronache cittadine lo scorso giugno, quando l’ondata di proteste generata dall’omicidio di George Floyd ha raggiunto la Crescent City. Sotto la spinta di un imponente e partecipato movimento cittadino, il City Council ha accolto la richiesta di cambiare la toponomastica dedicata a personaggi legati al mondo confederato, inclusa la strada attribuita all’ex governatore Nicholls, per la quale da più parti è arrivata la proposta ora al vaglio, di intitolarla proprio a Matassa. Lo studio proseguì nella sua migrazione per la terza e ultima volta, muovendosi al 748 di Camp Street come Jazz City e rimanendo in attività a fasi alterne fino al 1978. Per quasi tre decenni dalle mani di «Cozmo» uscirono migliaia di incisioni e alcune di queste divennero hit da classifica, consacrando alla leggenda i nomi dei fuoriclasse che circolavano nei suoi studi, gente come Professor Longhair, Irma Thomas, Lee Dorsey, Ray Charles, Aaron Neville, Eddie Bo, Ellis Marsalis e il giovane Mac Rebennack conosciuto come Dr. John. Il merito di Matassa fu di forgiare da subito uno stile unico e personale che divenne una vera e propria matrice culturale: una batteria che picchiava forte, un basso e una chitarra con un suono pesante, un pianoforte che volava leggero e strumenti a fiato capaci al contempo sia di rimanere dietro le linee che di richiamare la bellezza della voce umana. Va rammentato inoltre il difficile contesto tecnologico in cui Cosimo operava: nei primi anni le incisioni erano fatte su dischi in acetato, per i quali non c’era possibilità di errore, ogni brano doveva essere eseguito al meglio, pena gettare tutto e ricominciare da capo. Matassa metteva in parallelo la sua attività di ingegnere del suono a quella di fotografo. Era intenzionato a cogliere l’attimo fuggente: fermare in una sorta di instantanea su pellicola l’esibizione dei musicisti era la regola, chiedendo loro il massimo come in un concerto dal vivo, per renderlo immortale. Al lavoro di Matassa va riconosciuto lo stesso valore e la stessa importanza di scoperta e valorizzazione delle attività di fokloristi blasonati. Infatti Matassa non lavorò solo con grandi e famosi musicisti ma registrò anche molti sconosciuti artisti jazz e cajun, documentando così l’ampio bacino musicale dell’intera Louisiana. Non male per una persona proveniente dal ghetto del French Quarter, cresciuta in mezzo agli afromericani, e definita dalla parte reazionaria della Crescent City, «less than white», meno che bianco, essendo non americano puro ma figlio di migranti italiani.
Matassa subì anche l’ostracismo dei media locali, perché proprietario dello studio dei «nigger», nonché amico di questi ultimi. Situazione che così commentava, riportando una salace battuta in auge anni addietro a New Orleans: «Sai, Fats Domino ha venduto venti milioni di copie, ma i giornali continuavano ad ignorarci». Eppure, neanche questo scalfì mai la sua genuina passione: «Ho fatto un lavoro pieno d’amore. Come poterlo immaginare diversamente? Il mio lavoro, la mia vita, è stato ascoltare musica. Cercando di essere trasparente, ascoltando musicisti suonare in strada e nei locali notturni, cercando di registrarli in studio nel modo più fedele all’originale. Ho fatto del mio meglio, per non rovinare tutto».

FUORI I DISCHI

Little Richard Tutti Frutti
Fats Domino The Fat Man
Lloyd Price Lawdy Miss Clawdy
Clarence «Frogman» Henry I’m a Country Boy
Professor Longhair Tipitina
Guitar Slim The Things that I Used to Do
Irma Thomas It’s Raining
Jessie Hill Ooh Poo Pah Doo 
Big Joe Turner Honey Hush
Aaron Neville Tell It Like It Is
Robert Parker Barefootin’
Lee Dorsey Get out of My Life, Woman
Bob Neal The American Story
The Meters The Meters
Lee Harvey Oswald Self Portrait in Red
Bill Holliday Fights Mental Health
The Coventry Singers Run Come See
J.B. Kling Jr. Cajun Humor on the Bayou
El Formidable Ciro At Chateau Flamenco