«Abbiamo diritto alla verità. Vogliamo sapere cos’ha scatenato quell’orrore. Non deve finire tutto nel silenzio». Omar Garcia è un sopravvissuto, uno degli studenti messicani scampati alla mattanza di Iguala, nello stato del Guerrero, nella notte tra il 26 e il 27 settembre del 2014. Per il manifesto, così rievoca quei drammatici fatti, rimasti impressi nella sua memoria e in quella del paese: «La polizia federale ci ha attaccato con ferocia all’improvviso. Tre compagni sono morti, 2 sono stati feriti, uno è a tutt’oggi in stato vegetativo. E si sono portati via 43 di noi. Non riusciamo a spiegarci il perché di tanta violenza».

Come si è salvato, Omar? «Non ho fatto niente di eroico – dice – mi sono nascosto dietro le macchine, mentre le pallottole fischiavano da ogni parte. Siamo sopravvissuti in 50, gli altri sono caduti nella retata e sono stati portati via: erano vivi, e vivi vogliamo che tornino indietro». Secondo le autorità, era stata organizzata un’operazione di polizia per impedire la contestazione a un comizio della moglie del sindaco, poi arrestata insieme al marito come mandante del massacro. Ribatte Garcia: «Eravamo lì per raccogliere fondi per le casse del movimento. Il sospetto non è un delitto, a meno di non comportarsi come Bush e scatenare la guerra preventiva. Ma nessun protocollo di ordine pubblico contempla le sparizioni forzate».

La polizia avrebbe consegnato gli studenti a un gruppo di narcos, che li avrebbero uccisi e bruciati in una discarica. «Noi contestiamo questa versione – dice ancora Omar – l’inchiesta è andata avanti seguendo un’unica pista, fa sempre comodo prendersela con i narcos per non indagare davvero. Non sono stati sentiti i testimoni della difesa, non sono stati effettuati rilievi ambientali. Gli investigatori sono incapaci e bugiardi. Per loro l’indagine è chiusa, ma per noi continua e non ci arrendiamo. Ci siamo rivolti alla Commissione internazionale per i diritti umani, ci siamo messi in viaggio con varie carovane come questa, negli Stati uniti, in Canada, in Europa: per informare sulla realtà di un omicidio di stato che non deve essere silenziato. Finché non ci sono prove scientifiche, ottenute in base a una ricerca su più livelli, i nostri compagni sono vivi».

Garcia, in questi giorni è in Italia per partecipare a un ciclo di incontri, all’interno di una Carovana di solidarietà a cui partecipa anche un famigliare e un difensore dei diritti umani. Oggi, a Roma, dopo un presidio all’ambasciata messicana, incontrerà gli studenti di Sapienza clandestina e di vari collettivi.

Il caso dei 43 scomparsi ha commosso il mondo e ha portato in scena il lavoro delle Escuelas Normales rurales, fondate negli anni ’30 del secolo scorso da un giovane docente di Morelos, Raul Isidro Burgos. Un professore che ha fatto dell’insegnamento una missione dedicata ai più poveri e agli emarginati, coniugando didattica e coscienza politica. La Normal Rural di Ayotzinapa, a cui appartengono gli studenti desaparecidos, porta il suo nome e continua a tramandarne gli ideali: insegnare ad amare e ad essere liberi, responsabili, organizzati… Lunedì scorso ha riaperto le iscrizioni per il 2015-2019 a chi desidera diventare professore di una comunità emarginata, rurale o indigena dello stato del Guerrero. Per l’esame di ammissione, il primo requisito è quello di avere basso reddito.

«Le nostre scuole sono pubbliche e gratuite – spiega Omar – perseguono un disegno opposto a quello imposto dalle politiche di Enrique Pena Nieto, che sta privatizzando tutto. Per questo vogliono farle scomparire come istituzione, e adesso anche fisicamente. Lo stato ci considera nemici, non vittime».

A sostenere gli studenti, c’è invece un arco di forze che spinge per una vera alternativa di sistema: «sindacati, maestri, contadini, zapatisti, polizia comunitaria: un movimento forte che può portare a grandi risultati sul lungo periodo».

Le elezioni? Garcia non ci crede: «Non ci sono le condizioni – dice – per un cambiamento di sostanza che realizzi le speranze eventualmente suscitate col voto: occorre un procedimento più aperto e partecipato. La distanza tra rappresentanti e rappresentati, in Messico, è enorme. Ci sono invece altre forme che la costituzione già contempla come i consigli comunali. In altre parti dell’America latina sono lo strumento per ampliare il potere del popolo. In Venezuela, Bolivia, Argentina, le elezioni hanno aperto un nuovo cammino. Da noi, in Messico, la strada delle urne non porta ancora sbocchi».