La nocciola è, ormai, un paradigma. Se il Biodistretto della via Amerina e delle Forre da alcuni anni si occupa delle piantagioni del nocciolo della Tuscia e se il 17 aprile ha organizzato una conferenza a Nepi con turchi e georgiani non è solo per ricordare le grandi virtù di questa antichissima pianta, ma perché i noccioleti da grande risorsa e ricchezza sono e sempre più possono essere un grande problema. La multinazionale Ferrero è il giocatore fondamentale di questa importante partita, quasi nessuno s’interroga sulla sua strategia, sulle conseguenze per il mondo contadino, sul destino delle economie locali e sulle condizioni di vita dei cittadini dei nostri territori. Tre questioni sono sul tavolo. La monocultura del nocciolo in diverse realtà della Tuscia ha un impatto devastante sul territorio. Ha compromesso e sempre più può compromettere la biodiversità, cioè il vero sistema immunitario della natura. Le campagne per effetto dei pesticidi e dei concimi di sintesi sono sempre più depositi chimici, nocivi per la salute dell’ambiente e della natura . La Ferrero è la prima responsabile di questo stato di cose, non solo perché spinge verso una coltivazione intensiva, ostile all’agricoltura pulita e biologica, ma anche perché impone una superflua perfezione del prodotto che solo i fitofarmaci possono garantire. La Ferrero dice che il suo prodotto è senza residui e sostenibile, dimentica di dire che i territori di provenienza di quei prodotti sono ambientalmente insostenibili e che le acque, i suoli e l’aria di quei territori sono altamente inquinati. Non solo. Aver portato la coltivazione del nocciolo in zone non vocate sta determinando e sempre più determinerà un consumo straordinario e uno spreco di quel bene primario rappresentato dall’acqua.

La Ferrero, che è leader internazionale di questo settore – da sola governa il 40% delle nocciole turche, che sono il 70% della produzione mondiale – non si limita ad ampliare la produzione di nocciole italiane , ma incoraggia, in modo quasi compulsivo, nuove ed estese monoculture di nocciole in tutto il mondo, dalla Serbia al Cile. Il risultato finale è facilmente intuibile: avremo un calo dei prezzi sul mercato internazionale e la riduzione di quel differenziale di prezzo fra la nocciola e gli altri prodotti agricoli.

La logica estrattivistica della Ferrero e delle altre multinazionali del settore, in virtù della quale i campi di nocciole sono diventati delle miniere a cielo aperto, ha avuto altre due conseguenze preoccupanti. L’assenza di una ricerca per contrastare biologicamente i nuovi e pericolosissimi agenti patogeni, come la cimice asiatica, porterà come ovvia conseguenza un aumento esponenziale della guerra chimica ai nuovi agenti patogeni del nocciolo. In secondo luogo, l’assenza non casuale di un’ attività di trasformazione del prodotto–nocciola, ha fin qui di fatto impedito lo sviluppo e la diffusione di tutte quelle iniziative industriali ed artigianali che sono fondamentali per una diffusione della ricchezza nei territori.

* presidente Biodistretto della via Amerina e delle Forre