Poteva andar peggio: il rinvio della chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) le regioni l’avevano chiesto da tempo, dichiarandosi in maggioranza non ancora pronte a un provvedimento che fu annunciato per la prima volta quarant’anni fa, nel 1975, ministro di grazia e giustizia Oronzo Reale. Ma governo e parlamento, la commissione sanità del senato soprattutto, hanno resistito a queste pressioni e così dal 31 marzo 2015 i sei Opg italiani devono smettere di funzionare. Siamo di fronte a un cambio epocale come lo fu la riforma psichiatrica e come sembrano credere quanti, nelle ultime settimane di dibattito, hanno usato toni di allarme o di trionfo a proposito di questo provvedimento?

Per cercare di capire cosa cambi in realtà per il migliaio di internati attuali e per quelli potenziali è meglio abbandonare i toni forti e osservare da vicino il decreto legge sulle «disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari», decreto nato il 22 dicembre 2011 dentro il cosiddetto decreto svuota carceri e diverse volte rimaneggiato fino alla versione attuale, la legge n.52 del 31 marzo 2014 corretta dalla legge di conversione del 31 maggio 2014, la n. 81.

Cosa cambia con questa legge? Un punto rilevante: il luogo di esecuzione della misura di sicurezza prevista per l’infermo di mente autore di reato e per il condannato divenuto infermo di mente. Finora questo luogo era l’Opg, oggi è la residenza per l’esecuzione della misura di sicurezza, la Rems. Cosa non cambia? Un punto non meno rilevante, la struttura della misura di sicurezza definita dal codice penale: si tratta di una misura detentiva che, ovunque sia eseguita, continua a mantenere il duplice scopo di curare e di custodire per far fronte sia all’infermità che alla pericolosità sociale.

Ancora: cambia l’autorità responsabile degli istituti che eseguono la misura di sicurezza psichiatrica. Per gli Opg era il ministero di giustizia, oggi è la sanità regionale. Cambia anche il tipo di personale: prima era prevalentemente giudiziario (con l’eccezione dell’Opg di Castiglione delle Stiviere ) da oggi sarà tutto sanitario il personale all’interno della Rems, mentre l’«attività perimetrale di sicurezza e vigilanza» sarà di competenza della pubblica sicurezza. Questo non tragga in inganno: il mandato delle Rems è, unitariamente, alla cura e custodia, e le Rems appena aperte e quelle in progetto evidenziano bene cosa ciò significhi. La REMS inaugurata il primo aprile dal presidente Zingaretti e dal ministro Orlando a Pontecorvo (Frosinone), destinata a sole donne e collocata in una palazzina attigua alla Casa della Salute, ha un giardino esterno ben recintato, un apparato di video sorveglianza controlla tutti gli ambienti sia interni che esterni, dappertutto vetri antisfondamento. Nel corso dell’inaugurazione è stato firmato il protocollo per la sicurezza da parte delle autorità sanitarie e del prefetto, alla presenza della direzione del Dipartimento Affari Penitenziari. La regione Toscana ha deliberato di collocare una Rems al Sollicianino, il carcere intitolato a Mario Gozzini, utilizzando un’area dell’istituto che già ospita detenuti a custodia attenuata o in semi-libertà e che è a tutti gli effetti una struttura penitenziaria. La Lombardia ha scelto invece la transizione più morbida possibile: le Rems di questa regione saranno collocate nello stesso Opg di Castiglione, basterà un cambio di nome e tirar su qualche tramezzo.

Quale fondamento ha dunque l’allarme sollevato da più parti – da Matteo Salvini della Lega a Gilberto Corbellini sul Sole24ore del 29 marzo – sui pazzi pericolosi che saranno rimessi in libertà? E d’altra parte, come si può, in un tale quadro normativo e amministrativo, affermare che si sta realizzando il passaggio dalla pena alla cura, per usare le parole di qualche esponente del governo?
La sola cura possibile nelle Rems è quella in uso da due secoli negli ospedali psichiatrici civili, quella sempre sacrificata, come sappiamo, alle esigenze della custodia, che qui nelle Rems è anche legittimata dal codice penale. Nessuna vicinanza quindi tra questo provvedimento sugli Opg e la legge 180 del ’78, che non si limita a chiudere i manicomi ma ridefinisce lo statuto del malato di mente e i limiti del trattamento psichiatrico. Però non è vero che questa chiusura degli Opg sia un pesce d’aprile, come ha detto qualcuno, un gesto privo di rilievo. È invece un passaggio importante perché segnale che si è aperta di nuovo la partita Opg ed è ancora tutta da giocare, senza trucchi però, come diceva lo slogan che ha accompagnato il digiuno a staffetta e le altre iniziative promosse lungo tutto il mese di marzo dalla campagna per l’abolizione degli Opg (www.stopopg.it). Da quando, ad aprile del 2011, ha preso avvio questa campagna si è riusciti a spostare l’attenzione dagli istituti fatiscenti alle persone vittime di aberrazioni giuridiche e alle politiche colpevoli, sia sanitarie che giudiziarie, cha alimentano gli Opg e la domanda di misure di sicurezza. Sono state rispolverate le sentenze dimenticate della Corte Costituzionale e corretti alcuni dei punti più pericolosi del decreto del 2012, così che oggi è chiaro a tutti che le Rems non sono la sola misura su cui è legittimo concentrare risorse. È stato anche mitigato uno degli aspetti più indecenti della legge penale, precisando che «la misura di sicurezza detentiva non può durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso». Ora, insieme alla vigilanza su ciò che accade, bisogna riaffrontare la riforma del codice penale, che sola può consentire l’abolizione della misura di sicurezza psichiatrica e autorizzarci quindi a parlare di diritti, dignità e cura.